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Fenomenologia del Metaverso: Federica di Pietrantonio

Un'intervista con l'artista membro dell'artist-run space Spazio In Situ, in vista della collettiva RE:HUMANSIM alla quale parteciperà con il lavoro FARMING

Scritto da Nicola Gerundino il 22 maggio 2023
Aggiornato il 31 maggio 2023

Foto di Eleonora Cerri Pecorella

Luogo di residenza

Roma

Attività

Artista

Un adagio secolare – prettamente anglosassone ed economicista – dice che due sono le cose sicure: la morte e le tasse. Facendo un passo indietro, si potrebbe dire altrettanto correttamente che di certo nella vita c’è lo stare al mondo: il quotidiano doversi confrontare e rapportare a se stessi e a tutto quello che c’è intorno, esternamente. Lo stare al mondo contemporaneo prevede anche la tecnologia, molta tecnologia, che ormai da tempo non è più un semplice set di strumenti atti a rendere governabile – e quindi prevedibile e replicabile – ciò che di natura non lo è, ma si è elevata a dimensione, pensiero, habitat, ecosistema. Il lavoro di Federica di Pietratonio nasce qui, dall’indagare lo stare al mondo contemporaneo che oscilla da un piano di realtà all’altro, che affianca forme di esperienza quotidiana a simulazioni in realtà virtuali, in cui la mediazione tecnologica si pone come tool evolutivo per l’essere umano. D’altra parte, indagare lo stare al mondo è da tempo immemore affare per filosofi e infatti Federica stessa racconta come la sua pratica artistica sia molto affine a quella che in altri ambiti viene chiamata techno-philosophy: una corrente di pensiero che esplora idee e fatti della vita legati a una tecnologia che è ormai è in grado di cambiare radicalmente nell’arco di una sola vita umana, determinando mutamenti altrettanto radicali a qualsiasi altro livello. Ne abbiamo parlato in questa intervista realizzata in occasione della mostra collettiva “RE:HUMANSIM” in programma dal 24 maggio al 18 giugno negli spazi di WeGil, a cui Federica parteciperà con il lavoro “FARMING”, affrontando temi come hikikomori, neet e gold farming.

 

 

Come ti sei avvicinata all'arte?

Non c’è stato un momento o un motivo in particolare, l’arte è sempre stata una modalità per comprendere la realtà e farne parte.

Inevitabile chiederti se questa porta d'ingresso si sia manifestata via rete o meno.

Ho passato molto tempo al computer (ancora senza internet) e sulla carta, ma parliamo di molto tempo fa! Non avevo ancora la consapevolezza che quello che stessi facendo potesse creare senso in ambito artistico o culturale.

Hai dei videogiochi preferiti? Quali sono quelli con cui hai giocato di più e magari ti hanno formato anche da un punto di vista estetico?

Il primo videogioco con il quale ho lavorato è stato “The Sims”. Successivamente ho iniziato a lavorare con “Myst”, “Grand Theft Auto”, “Farming Simulator 22” e altri. Mi interessano molto i videogiochi di simulazione o di esplorazione del paesaggio. Se parliamo invece di puro svago, il mio interesse per il gaming inizia con i giochi Java per cellulare e Flash per siti web, le guide amatoriali di walkthrough dei videogiochi e altri vari modi che le comunità online hanno progettato e condiviso per l’intrattenimento sociale e/o personale.

Stessa domanda, ma per i social network.

Per quanto riguarda la comunicazione del mio lavoro, utilizzo social network mainstream come Instagram. Per l’interesse che ho verso le comunità online, navigo diverse piattaforme: ad esempio, in ordine di popolarità YouTube, Reddit, Quora, 4chan e altre. Spesso sono alla ricerca di imageboard o thread chiusi da tempo. Mi ha sempre affascinata la libertà che gli utenti acquisiscono creando la propria identità digitale nei social network. La proposta online della propria vita intima è radicata nella storia dei blog e dei social, e in tempi caratterizzati da un realismo brutale questo processo oggi sta diventando qualcosa che potremmo chiamare “romanticize your life”.

A proposito di social network, spulciando il tuo profilo Instagram mi sono imbattuto in una serie di post molto interessanti, che messi assieme davano vita a una sorta di pagina personale realizzata direttamente nel "metaverso", con protagonista un essere umano e una volpe antropomorfa (che immagino sia un tuo alter ego).

Sono fotografie scattate anni fa su “The Sims 4” o su “Second Life”. In quest’ultimo visitavo paesaggi abbandonati e scoprivo nuovi luoghi con Foxy. Ragionavo sull’occupazione del tempo libero, la produttività, l’identità.

La tua ricerca artistica avviene esclusivamente in rete?

Non saprei trovare una fonte unica di ispirazione, spesso viene da esperienze personali, siano esse mediate virtualmente o no; altre volte da interessi che approfondisco. Alcuni riferimenti visivi della ricerca provengono dal panorama mediale dell’intrattenimento, dal quale individuo e prelevo possibili segni che appartengono al panorama iper-attuale dei trend, delle challenge, dei rapidi fenomeni online. Cerco di avvicinarmi nell’attitudine alle pratiche di conservazione degli archivi digitali e ai casi di lost media.

Quali sono i temi della tua ricerca?

Nel mio lavoro ragiono spesso sul nostro essere nel mondo, sulla mediazione tecnologica con cui ci confrontiamo e attraverso cui ci evolviamo come creature. Cerco di avvicinare forme di esperienza quotidiane a simulazioni in realtà virtuali, oscillando di continuo da un piano di realtà all’altro, includendo la creazione o la modificazione di mondi virtuali. Un mezzo che spesso utilizzo è la narrazione, sia in ambito pittorico che video o installativo. Mi ritrovo a confrontarmi con ragionamenti sul complesso sistema dell’identità, sulla morfologia e ontologia degli spazi che abitiamo irl+url. Recentemente mi sono imbattuta nel termine “techno-philosophy”, che sento molto vicino alla mia ricerca. In breve, adottare un pensiero filosofico questionando la tecnologia e allo stesso tempo usare la tecnologia per tentare di risolvere quesiti filosofici tradizionali.

Parlando di topografia 1.0, fai parti dell'artist-run space Spazio In Situ a Tor Bella Monaca. Quando e come sei entrata a farne parte?

Sono entrata nel 2018. Spazio In Situ prima di tutto è un gruppo di artisti e amici con i quali sono cresciuta: frequentavamo insieme l’accademia e volevamo uno studio dove poter lavorare.

Cosa ne pensi dell'esperienza dell'artist-run space: è la dimensione creativa (e anche espositiva) ideale per un artista contemporaneo?

Credo dipenda di caso in caso. Ci sono artisti che preferiscono vivere singolarmente il proprio studio. Personalmente mi trovo bene a condividere lo spazio lavorativo, con la possibilità di confronto durante il processo artistico, così come di condividere le pause, i ritmi quotidiani e la vita sociale.

Personalmente trovo che le collettive ospitata da Spazio In Situ siano tra le più interessanti in città. Come come costruite il momento espositivo?

L’attività espositiva di Spazio In Situ è cambiata molto negli anni ed è cresciuta insieme a noi. Abbiamo presentato diverse tipologie di mostre dal 2016 a oggi, sia con curatele invitate che con progetti curati da membri interni. All’inizio, quando abbiamo preso lo spazio,
non avevamo un intento espositivo, poi abbiamo rivalutato l’ambiente e le sue potenzialità e abbiamo iniziato un ciclo di vari anni in cui hanno partecipato i membri interni. Successivamente ci siamo rivolti ad artisti nazionali e internazionali, stringendo rapporti con le varie istituzioni dei paesi coinvolti. Ci interessa poter ripensare di volta in volta lo spazio proponendo e valorizzando artisti emergenti.

Com'è, dal tuo punto di vista, lavorare in una parte di città così lontana dal centro?

Non abito a Roma quindi per me avere studio a Tor Bella Monaca è comodo e vicino! Sicuramente fare parte della vita sociale artistica centrale richiede tempi di spostamento maggiori.

Arriviamo alla mostra "RE:HUMANSIM". Qui presenterai "FARMING", ci puoi raccontare questo lavoro?

“FARMING” è l’ultimo cortometraggio machinima che ho prodotto. La storia è presentata sotto forma di documentario, mentre l’apparato visivo è finzionale e interamente registrato nel videogioco di simulazione “Farming Simulator 22”, con l’integrazione di mod. Ho cercato online le fonti per lo script, esaminando diverse tipologie di materiale (audio, video, commenti, interviste), raccogliendo un ampio numero di testimonianze, anonime e non, sulle esperienze di utenti che si identificano nei termini “hikikomori”, “neet”, “gold farmer”. Ho infine selezionato tre testimonianze che costituiscono per intero lo script del video, evitando qualsiasi finzionalità nella narrazione audio. L’audio è costituito quindi dai suoni ambientali e da una voce narrante, che ho realizzato clonando la mia voce personale con un generatore di voce AI disponibile online.

Hikikomori, neet, gold farmer potenzialmente sono temi da "massimi sistemi", passami il termine: il passaggio dell'uomo dal reale al virtuale, una smaterializzazione dell'esistenza che viene riversata nei dispositivi digitali. È così per te? È un esito distopico, un esito utopico o semplicemente un esito?

La scelta di un impianto visivo pastorale è un espediente narrativo che vuole invertire la condizione di isolamento di questa tipologia di utenti, con un passaggio logico che va dal panorama della scrivania e dello schermo (che vivono quotidianamente) al panorama dell’ambiente circostante. Credo che il paradosso di questa condizione sia proprio la sua radicata appartenenza alla realtà, ovvero un’impossibilità di smaterializzazione. Se considerassimo i bit una materia allo stesso modo degli atomi o di unità più piccole (vedi la teoria it-from-bit), non parleremmo di smaterializzazione, ma di materia digitale.

Chiudiamo parlando di altri due tuoi progetti: il magazine ISIT e AFFDP.

ISIT è un progetto editoriale e curatoriale che abbiamo creato nel 2019 io, Andrea Frosolini e Alessandra Cecchini: una pubblicazione indipendente che ospita progetti di varie figure dell’arte contemporanea. Abbiamo realizzato tre edizioni e pensato a diverse formule curatoriali o espositive. AFFDP è una coppia artistica, formata da me ed Andrea Frosolini.