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Francesco Cavalli

NoLo: abbiamo la vera storia del nome. E che nessuno si azzardi più a pronunciarlo in inglese.

quartiere NoLo

Scritto da Piergiorgio Caserini il 12 marzo 2021
Aggiornato il 16 marzo 2021

Foto di Anna Adamo e Guido Borso

Il nome di NoLo è una storia. Una storia che gira, che è girata, che si è avvolta del mistero delle dicerie da bar prendendo tante sfumature diverse, come ogni frase che circola di bocca in bocca. Chi diceva che fosse uno scherzo, chi un piano diabolico, chi una cosa nata a cazzo di cane. Solo una cosa era certa: c’era di mezzo lo studio Leftloft (che insomma, non ha bisogno di presentazioni). Ebbene, abbiamo incontrato Francesco Cavalli al Mercato Coperto, vicino a casa sua. E ora sappiamo tutto. Poche domande, ma tutta la storia.

Mercato Viale Monza
Piazza Arcobalena. Foto di Carmen Colombo

Andiamo subito al sodo. La storia sull’origine del nome di NoLo è diventata leggenda. Mitica. Epica. Tra chi dice una cosa chi ne dice un’altra, su un punto tutti concordano: c’è il tuo zampino. Ci racconti la vera storia di NoLo?

Allora, la storia vera è questa. Comincia dieci anni fa, mentre abitavo a New York, dove ho aperto lo studio. Lì ho cominciato ad apprezzare cose che qui in Italia nessuno ancora si immaginava: le periferie. Parliamo di quartieri con dei vuoti, dei buchi che a Milano avrebbero sdegnato lo sguardo, mentre là erano opportunità per fare qualcosa. Quando poi ho cominciato a cercare casa qui, ho voluto ragionare come se fossi a New York, cercare di capire dove trovare delle potenzialità simili. Scelsi viale Monza, e ti dirò: mi sentivo parecchio figo ad aver fatto quella scelta, con una casa che non mi sarei mai potuto permettere in Porta Venezia. Ma anche altri come me, abitanti “di seconda generazione”, vivevano qua o si stavano trasferendo. D’altronde era la scelta più razionale. Costava la metà, in dieci minuti sei in centro, piccoli supermarket aperti fino a mezzanotte. C’erano già anche altri amici, come La Tigre e Giacomo Spazio, e ci chiedevamo com’è che nessuno sapesse che posto fosse.

 

Il punto è che molta gente provava un po’ di vergogna. Nessuno diceva apertamente di vivere in questa zona. Venivano qua e ne erano contenti, ma non orgogliosi. Questo per dire che io NoLo non l’ho inventata, ma scoperta. C’era già, solo che nessuno la vedeva. E qui sorge la nostra domanda, da qui è nato tutto: come fare a spiegare agli altri dove stiamo abitando, cosa stava succedendo? E insomma, molto semplicemente, un giorno io, Walter Molteni e Luisa Milani, gli amici de La Tigre, eravamo a New York nel nostro bar preferito. Parlavamo di questo, e del fatto che lì tutto aveva un nome. Nasce così: NoLo, ovvero Nord Loreto. Ci tengo molto a dire che non è in inglese, non è North of Loreto. È una semplice indicazione. Questo perché chiunque per indicare dove abitasse in quella zona si riferiva a viale Monza o via Padova. Capisci? Esisteva già, gli mancava solo il nome. NoLo era una scelta intelligente per persone intelligenti e senza pregiudizi. Era popolare, con una commistione di immigrati di prima e seconda generazione, e tutto questo lo rendeva un posto interessante, puro e semplice. Ed è venuto fuori giocando. Abbiamo fatto una cartina, disegnato i confini su Google Maps, con viale Brianza, il massicciato ferroviario, via Padova, insomma quello che è oggi.

 

È successo così, in un bar di New York, ridendo e scherzando, creando questa mappa e diffondendola. Da lì, ci ha messo molto, prima lentamente e poi a valanga. Qualche anno e per passaparola. Ma non era un’operazione per promuovere qualcosa; era solo l’atto di nominarla, di dare un nome a qualcosa che già c’era. Dico questo perché tanti ci dissero di disegnarne il logo, ma penso che la natura di una città esuli dal suo marketing. E nella vita faccio brand. NoLo era già reale, esisteva. Gli abbiamo dato un nome, non l’abbiamo inventata, e dare un nome è semplicemente circoscrivere. Se questa cosa ha funzionato è perché già c’era un sostrato, la gente era contenta di abitare qua, di aderire alla realtà di questo luogo.

Com’è stato vedere questo nome, dato per voglia di identificazione tra quattro amici, crescere, gonfiarsi e diventare quello che è oggi?

Devo dire che a me una cosa così non è mai successa. E di gente che investe centinaia di migliaia di euro in comunicazione ne ho vista, ma nessuno ha avuto questi risultati. Non abbiamo pagato neanche un ufficio stampa [ride]. E sentire la CNN, dopo tre anni, dire che questo è il nuovo quartiere dei creativi è stato vedere finalmente a Milano qualcosa di genuino. Perché se dovessi muovere una critica a questa città sarebbe quella di essere un po’ di plastica, di essere un eventificio a pagamento in cui tutti sperano di avere una loro fettina. E in mezzo a questo ci sono altre due questioni. Da un lato bisogna capire che lo spot della comunicazione non produce un aumento della qualità. Dall’altro che gli eccessivi trionfalismi sono un po’ ridicoli, perché evitano di affacciarsi sugli aspetti negativi e trattano la realtà come se fosse intonsa, la realtà più figa del mondo.

 

Insomma, io faccio marketing nella vita. Chiamiamo anche il design con il suo vero nome: vendere e sedurre. Ma se nessuno ti paga quell’atteggiamento è quasi una forma di riscatto. E questo vale anche per NoLo. Nel senso che bisogna stare attenti, perché dire che tutto è bello e funziona equivale a girare la testa dall’altra parte, ignorare le realtà che coesistono, tra cui, per dirne due, l’insicurezza sociale e l’aumento dei prezzi. Tipo, RadioNolo sta facendo la spesa sospesa. È un’ottima iniziativa ed è super interessante, ma la fai qui e non in altri quartieri, perché qui la gente dopo l’ultimo anno non arriva alla fine del mese. Ecco, NoLo diventerà qualcosa se chi sta qua farà cose giuste, non solo fighe. Non è che si deve vendere “il brand”. Sarebbe un po’ come vendere i modellini delle gondole a Venezia. I nomi vivono come le tradizioni, se hanno qualcuno che li parla, li porta avanti.

 

Per farla semplice, il punto è: ascolterà la radio di NoLo uno che vive a Bristol? E perché? Per adesso rimane un posto dove abitare, e poi a Milano siamo così presi lavorare che è sempre meno creativa. E nemmeno NoLo sfugge. Questo è un angolo di Milano dove al Mercato non c’è l’happy hour, ma c’è Maurizio, e ti bevi una birretta con un pezzo di formaggio. Se qui riesci a vivere un po’ meglio bene, se poi esce qualcosa che da una spinta tutto il resto meglio. Prendi Alcova: Joseph e Valentina hanno fatto un ottimo lavoro da qui, hanno dato lezioni al mondo del Fuorisalone.

Insomma, NoLo rappresenta per certi aspetti un’eccezione nel panorama della crescita dei quartieri in città, e come tale risulta essere sempre in bilico tra diverse tendenze, ho capito bene?

Qui siamo noi che se ce la cantiamo troppo, ci tiriamo la zappa sui piedi. Tutto qua. Ci sono responsabilità che vanno colte fino in fondo, senza essere ottimisti a tutti i costi, ma dicendo le cose come stanno. NoLo vive sul fatto che ci sono classi sociali diffuse e complesse, e questo è il suo bello. Se non ci fosse questa situazione, tutto quello che lo caratterizza sparirebbe, ne rimarrebbe davvero solo il nome. Per dire, prendi Venezia. È una città che ha governato il mondo fino al XVIII secolo, e adesso vende sé stessa. Tu sei Venezia, hai smesso di inventarti Marco Polo e Paganini, e vendi sti cazzo di modellini e fai fare pure il giro in gondola. Non mi interessi più.

 

Ti dico, qui si tratta di fare andare insieme urbanistica tattica, inclusione sociale e riqualificazione urbana. Quando non lo sono saltano fuori i problemi. Per esempio, qui vicino c’è stato un grande “conflitto” che è stato una delusione per me. La piazza di Pasteur, davanti ai transiti. Quello era un posto decisamente complicato, con dei forti problemi sociali. La gente si ubriacava, faceva casino, lasciava bottiglie, insomma: un classico. Ma la scelta è stata quella di recintarla e togliere le panchine. Non hanno messo un lampione, mentre avrebbero dovuto pedonalizzarla, dare spazio, quasi un po’ come le concessioni in periodo covid, illuminarla… Questa cosa fa capire bene come non è che il mondo si divida tra chi specula e chi no, che è contento della gentrificazione o meno, ma che si tratta di soluzioni che funzionano o non funzionano. La gente che fa casino nella piazza è rimasta, solo che adesso si regge alla cancellata. Quella cosa lì è una sconfitta per tutti. Al contrario il successo del pingpong in piazzetta Arcobalena è incredibile.