Ambientato a Venezia, ma proiettato in una dimensione globale e iperconnessa, il secondo libro di Ginevra Lamberti, “Perchè comincio dalla fine” (Marsilio, 2019), fresco di stampa, raccoglie in maniera organica, tra romanzo e reportage, diverse angolature del rapporto contemporaneo con la morte. La quotidianità della protagonista si anima così di tanatoesteti, social media death manager, artisti, parenti defunti (una lettera del nonno viene recapitata da un angelico gatto volante), fantomatici pellegrini 2.0 e servizi funebri innovativi. C’è chi ha coniato anche il neologismo “Tanatoparty” per raccontare del marketing che gira attorno a questo settore. La famosa partita a scacchi in riva al mare di Antonius Block nel Settimo Sigillo, oggi, a confronto, sembra acqua fresca. E mentre da un lato la paura che tutto a un certo punto abbia fine, il timore di perdere le persone più care, la consapevolezza della nostra finitudine sono protagoniste di una rimozione collettiva che quasi rende la morte, la malattia, la perdita sistematicamente innominabili, al tempo stesso la signora con la falce viene esorcizzata nelle forme più disparate: dalla strategia social delle onoranze Taffo ad alto tasso di viralità al progetto di “rinascita” green “Boschi Vivi” per chi sogna di diventare nutrimento per gli alberi o semplicemente per chi preferisce querce, castagni, ciliegi alla fredda lapide in pietra. Nella scrittura e nell’attitudine sarcastica della scrittrice, nata in provincia di Treviso ma ormai veneziana d’adozione, la tradizionale linea gotica che inquadra la morte estetizzandola trova una nuova traiettoria e acquista, paradossalmente, un’irresistibile vitalità. Con questo libro, edito da Marsilio, la “nostra” Lamberti (dopo “La questione più che altro” del 2015, edito da Nottetempo) si conferma talento cristallino, capace di slanci surreali e tonfi fragorosi sulla dura realtà, esprimendo sentimenti veri, con il giusto distacco e una sana dose di ironia. Una scrittrice vera, a Venezia, finalmente.
Cominciamo dalla fine, cioè spoileriamo, come si chiude questo libro?
«Con il flashback di un evento che non ricorda nessuno, dunque potrebbe non essere mai esistito».
(Ri)partiamo dall’inizio, cosa c’è stato prima di questo libro?
«Molto lavoro lontano dalle parole scritte, molta vita frenetica e poco tempo per sedermi davanti a una pagina bianca. A ben guardare adesso, anche questa fase è stata importante per tornare poi a narrare con occhi diversi e nuove idee».
Cosa ti ha indotto a censire questi approcci creativi alla morte? Quale è stata la genesi del tuo viaggio al fianco di Tanato?
«Tutti stiamo facendo un viaggio al fianco di Tanato, non pensarci mai può generare cortocircuiti spiacevoli nelle nostre vite, acuire il senso di smarrimento e disperazione di fronte a un lutto o a una malattia, farci perdere di vista le priorità nel marasma quotidiano di bisogni più o meno fittizi. Sulla base di questa riflessione ho deciso di incontrare professionisti del “settore lutto” che mi raccontassero il loro lavoro e illustrassero le opportunità che abbiamo a disposizione per gestire le nostre spoglie mortali. L’ho fatto intrecciando questi incontri con narrazioni ispirate al mio quotidiano (lavoro con i turisti, gente rilassata o di fretta, puntuale o sbadata, in coppia, da soli o con famiglie, una sorta di finestra sempre aperta su questa forma di iper-vita chiamata vacanza). L’ho fatto cercando di non dimenticare mai la faccia umoristica o paradossale della medaglia».
In Italia, se paragonata con lo sviluppo registrato nella cultura continentale ed anglosassone, la letteratura gotica è sempre stata sostanzialmente marginale o perlomeno sotto traccia: il tuo approccio alla scrittura in questo senso con quale filone si identifica di più? (Quello italiano che predilige il realismo o quello più mystery ed estetizzante?)
«Dico spesso che, essendo nata a metà anni ottanta, faccio parte di quella generazione che, nel bene e nel male, poteva indifferentemente essere influenzata dalla sovraesposizione a Bim Bum Bam o dal rinvenire casualmente in età infantile l’Antologia di Spoon River nella biblioteca di famiglia. Questi sono più o meno i confini del mio identificarmi con. Ampi e sgangherati».
Morte a Venezia: cosa dei luoghi in cui vivi ti ha ispirato a parlare di morte e dove invece possiamo ritrovare la sua più autentica vitalità?
«Venezia è una città che ha molto più a che fare con la consunzione che col contemporaneo concetto di romanticismo. Dalle alghe, ai topi, ai gabbiani reali col becco tinto dal sangue di chissà che animale, al salso che distrugge le serrature, agli intonaci che si sfaldano, le muffe che avanzano, tutto richiama questo argomento. Al tempo stesso se tutto si sta consumando tutto è anche, per forza di cose, preda di una feroce vitalità».
Città lagunare a parte: in che mondo è ambientato questo libro? Quali sono i suoi set e le sue scenografie? Che idea ti sei fatta del nostro rapporto con la morte?
«Il libro ha tante scenografie quante sono le persone che hanno voluto incontrarmi per rispondere alle mie domande. Uno degli aspetti che più ho amato del lavorare a Perché comincio dalla fine è stato avere una valida ragione per prendere il treno e raggiungere altri luoghi. Ci sono sprazzi di Roma, Milano, Parma, Firenze, Pesaro, visite che magari sono durate solo poche ore, magari facendo solo pochi passi al di là della stazione per incontrare i miei interlocutori. Poi a un certo momento ho avuto l’occasione di partecipare a una residenza letteraria a Pechino, e dunque compaiono le micro-narrazioni legate al lutto di alcuni autori internazionali, e un pomeriggio di sole tra le sobrie lapidi del Cimitero della Rivoluzione».
Come vivi l’isola, da quando e perché.
«Mi sono spostata a Venezia nel 2005 per l’università, sono rimasta senza mai avere troppi dubbi, ho trovato persone care e una mia dimensione. Non credo serva una particolare allure mistica per scegliere una città. Vengo da una piccola valle pedemontana piuttosto isolata, dunque diciamo che nella vita avevo probabilmente bisogno di un centro urbano dotato di tutti i servizi a distanza di breve camminata, e che al contempo mantenesse una sua dimensione umana. Questo particolare tipo di equilibrio è difficile da trovare e, al netto di tutti i difetti possibili, Venezia ce l’ha».
I tuoi posti preferiti? Per colazione, per pranzo, per cena e per bere.
«Non esco spesso a pranzo né a cena. Un po’ per lavoro un po’ per indole sono senza dubbio più ferrata nelle altre fasce orarie. Per quanto riguarda la colazione il punto di riferimento è senza dubbio la storica pasticceria Tonolo, mentre quando si tratta di uscire a bere qualcosa in orario serale frequento volentieri Adriatico Mar, Cantina Arnaldi, Estro Vino e Cucina, Osteria da Filo, Latteria2465. Se si tratta specificamente di cocktail la scelta cade su Il Mercante e Time Social Bar».
La parte più bella e il difetto peggiore di Venezia?
«Sono convinta che la parte più bella dell’isola sia, a fronte di una apparente chiusura, quella di dare molto spazio all’inclusione di soggettività che altrove sarebbero relegate ai margini. In presenza di questa caratteristica ogni difetto mi sembra affrontabile».
Dopo essere stata ospite della libreria Marco Polo di Venezia e dei festival Pordenonelegge, Cartacarbone, Fiera delle Parole, il tour di presentazione di “Perchè comincio dalla fine” prosegue, ecco i prossimi appuntamenti. Libreria Tralerighe di Conegliano (23 ottobre alle 19:00) e biblioteca civica di Musile di Piave (25 ottobre alle 20:30). Più in là nel tempo verranno il festival Il Rumore del Lutto (Parma, 2 novembre), la LibrOsteria (Padova 7 novembre alle 19:30), la rassegna Passi e Trapassi (Belluno, 9 novembre). Infine un incursione a Busto Arsizio al Circolo Gagarin (24 novembre), e a Trento presso la libreria Due punti (3 dicembre).