Ad could not be loaded.

Il team Stavio

Da produttori di birra a produttori di birra con un locale sulle spalle: l'importante è sempre avere un boccale tra le mani. Stavio si racconta in un intervista.

Scritto da Nicola Gerundino il 2 febbraio 2015
Aggiornato il 12 luglio 2017

Luogo di residenza

Roma

Non so se sia giusto utilizzare il termine “storico”, ma è assolutamente corretto dire che Stavio è una delle realtà più longeve del mondo della birra artigianale di Roma e del territorio del Lazio. Nel 2010 la prima cotta, poi la distribuzione di fusti e bottiglie, la partecipazione ai festival, infine l’apertura di un proprio locale in via Pacinotti, proprio a ridosso del Ponte dell’Industria (anche noto come “Ponte de Fero”). Ci siamo fatti raccontare la storia di Stavio in questa intervista direttamente da Luca, Valentina e Marco. Ambientazione: Roma e Viterbo. Incipit inaspettato: Milano.

stavio birre

 

ZERO: Iniziamo dai primi passi come beer firm. Com’è nata la birra Stavio?
La birra Stavio è nata dall’incontro tra Marco Meneghin e Luca Parisi: un birraio trapiantato da Milano a Roma e un neonato publican.

Vi ricordate quando avete fatto la prima cotta?

La prima cotta ufficiale l’abbiamo fatta nel 2010, da Free Lions e si sarebbe dovuta chiamare Blhop. Invece è uscita una “Flohp”! Comunque era una Blond Ale.

Successivamente che stili avete iniziato a produrre?
Lo stile è sempre stato un punto di partenza, ma non necessariamente di arrivo. Sin dall’inizio abbiamo prodotto stili differenti, tra cui una Stout, la Stupid Monkey; una American Pale Ale, la Critical; una Golden Ale, la Nartra.

Chi è tra voi il mastro birraio? Gli altri membri del team di cosa si occupano?
Il mastro è Marco, per gli amici Padre Marcio. Luca si occupa del bancone, quindi di birra/distillati e della cucina; mentre Valentina si occupa di grafica, comunicazione, eventi e faccende amministrative. Poi, sebbene esistano dei ruoli, il locale ha bisogno di molto altro, per cui siamo tutti camerieri, cassieri, facchini e pizzicagnoli.

Marco Meneghin aka Padre Marcio.
Marco Meneghin aka Padre Marcio.

Ci potete raccontare il territorio in cui nasce Stavio e come siete riusciti a “tradurlo” in birra?
Marco vive e in parte lavora nelle vicinanze di Viterbo. Qui abbiamo tirato su una coltivazione sperimentale di luppolo e ne è uscita fuori una birra. Lavoriamo con birrifici del territorio e quindi un altro ingrediente potrebbe essere l’acqua. Nel locale di Roma a Via Pacinotti abbiamo diversi prodotti di piccole realtà locali, tipo i formaggi. Molto del legame è di tipo affettivo.

Anche il nome Stavio è legato al territorio?
Stavio fa riferimento al participio passato di stare, in dialetto viterbese. “Io ce Stavio” è il motto per ricordare nonna Fedora, di origine Valleranese, quando da piccoli ci ripeteva: «Quando stavio nei campi a raccoje li pommidori…». Il senso di questa frase ci ha sempre fatto pensare a una presenza impegnata, non solo fisica.

Ora siete ancora una beer firm o avete un vostro birrificio?
Purtroppo siamo ancora una beer firm, ma stiamo valutando come aprire un impianto nostro.

Quali sono le vostre birre ora? Diciamo quelle che producete con una certa costanza.
In questo momento al locale c’è La Giallina (Belgian Ale), La Busona (Pils) in collaborazione con Terre di Faul, la Fedora (English Ipa) e in bottiglia la White Father (Blanche), La Martora (Tripel), la Glory Old (Old Ale) e la Don Zaucher (Orange Rauch).

In questo 2017 avete dato alla luce qualche nuova birra? E nel 2018?
Quest’anno abbiamo fatto molte collaborazioni da cui sono uscite nuove birre, come la Big Dabol e la Non è la Weisse insieme a Eternal City Brewing. In generale, non è sempre facile pensare al futuro.

La Big Dabol firmata Stavio ed ECB.
La Big Dabol firmata Stavio ed ECB.

Nei primi mesi di produzione avete iniziato a distribuire la vostra birra nella zona di Viterbo o l’avete portata da subito a Roma?
Quando abbiamo iniziato a produrre birra ci siamo affidati a un distributore che la vendeva prevalentemente a Roma. Un’altra parte della produzione invece la vendevamo direttamente fuori città o nei festival.

In che locali avete iniziato a portarla a Roma? Li conoscevate già?
Sì, le nostre birre venivano vendute per lo più a locali che frequentavamo, come il Ma Che Siete Venuti a Fa’, il bir&fud, King Arthur, Birra +, all’Arrogant Pub di Reggio Emilia o al Goblin di Pavullo nel Frignano.

Bottiglie o fusti?
Abbiamo venduto sempre più fusti. Ora non facciamo distribuzione, la birra prodotta è destinata al locale e così anche gran parte delle bottiglie, seppur qualche beershop ne richiede ancora qualcuna.

Nel 2017 saranno passati già tre anni dall’apertura di Stavio qua a Roma, ci potete raccontare com’è nata questa avventura?
L’esigenza di avere un locale è nata per essere indipendenti. Per vendere ciò che producevamo, ma anche per mere questioni economiche. È stata un’avventura perché l’inesperienza si paga. Quando desideri una cosa e ti ritrovi ad averla realizzata, non sai bene come e perché. A volte ancora ce lo domandiamo.

È stata una scelta voluta o casuale quella di via Pacinotti?
Dopo un anno circa di ricerche, ci siamo fatti abbindolare da questa isola felice! Ci troviamo abbastanza bene,  non passano macchine e abbiamo la possibilità di avere un grande spazio fuori. Non siamo su strada e questo può causare qualche problema di visibilità, d’altra parte ci piace l’idea che se finisci qui dentro non è certo per caso! Poi, aldilà del quartiere, a Roma non è mai facile vivere.

Gli interni di Stavio, in via Pacinotti.
Gli interni di Stavio, in via Pacinotti.

Le vie al bancone sono divise tra vostre birre e birre ospiti in che percentuali?
Dipende dal periodo e dagli umori di Padre Marcio! È difficile che ci siano attaccate sette birre nostre, solitamente la percentuale di birre ospiti è maggiore. Per questo motivo abbiamo bisogno di aprire un birrificio nostro.

Ci sono delle birre che non levate mai dal bancone?
Cambiano tutte in continuazione, anche se ci sono birre a cui siamo particolarmente affezionati e quindi si trovano spesso.

Del cibo chi se ne occupa?
Principalmente Luca. Il legame con il territorio c’è sempre se consideriamo che acquistiamo prodotti da realtà medio-piccole, mai dalla grande distribuzione. Non perché sia il male – forse sì, in realtà… – ma perché preferiamo avere un rapporto diretto con i produttori.

Accoppiate vincenti.
Accoppiate vincenti.

Pensate che nel futuro ogni birrificio o beer firm avrà un suo locale?
No, è più facile che un locale sia anche una beer firm e che un birrificio, almeno a Roma, si presti per eventi o si travesta da locale. Comunque la produzione e il locale sono due cose molto diverse. Difficile dedicarsi a entrambe.

Come giudicate la piazza di Roma rispetto alla birra artigianale?
La piazza di Roma è molto proficua, purtroppo però il clima è quello che caratterizza ogni cosa qui: competizione, chiacchiere, moda, invidia e pochissima collaborazione. Che la birra artigianale ormai si trovi dappertutto non ci sembra un male, anzi. È difficile sopravvivere, ma non perché ci siano molte realtà e quindi molti competitor.

Quali sono gli aspetti positivi e quali quelli negativi dell’essere allo stesso produttori e venditori
Come detto, noi non possiamo dirci ancora dei veri e propri produttori. L’idea che ci siamo fatti è che i lati positivi saranno diversi, tra cui una tap list di birre nostre, una maggiore espressione di noi stessi e un abbassamento dei costi. Il lato negativo sarà fare nuovamente i conti con l’inesperienza e con un doppio impegno.

Quali sono i vostri birrifici italiani preferiti?
Innanzitutto, dobbiamo dire che nelle scelte che facciamo, per un birrificio come per ogni altra cosa, non valutiamo solo la birra. Abbiamo un forte legame con Birrificio Italiano, Montegioco, Dada, Bidu, Terre di Faul, Birrificio degli Archi…

Quelli stranieri invece?
De Ranke, De la Senne, Marble, 3 Fonteinen, De Molen.

Quando non siete da Stavio dove vi piace andare a bere e mangiare a Roma?
Vale lo stesso discorso dei birrifici, quindi Must!, Epiro, Litro, Le Bon Bock, La Tana…

Assetati al bancone di Stavio.
Assetati al bancone di Stavio.