The Drink(er)s è una mostra online a cura dello studio Actant Visuelle con le foto dei cocktail del Bar Basso scattate da Delfino Sisto Legnani e una serie di testi che li raccontano scritti direttamente dai clienti più o meno celebri del bar milanese per eccellenza: per dirne alcuni, Trapattoni, Massimo De Carlo, Bugo, Charlemagne Palestine, Lucrezia Lerro, Luigi Serafini, Luca Trevisani.
In occasione dell’evento del 20 novembre al Bar Basso che dà corpo a The Drink(er)s, Zero – media partner di The Drink(er)s – incontra di nuovo Maurizio Stocchetto: ma siccome a parlarci dei cocktail questa volta sono stati i suoi clienti, in questo gioco di ribaltamento al celebre barman milanese abbiamo chiesto di raccontarci qualcosa di chi, in questi ultimi trent’anni, è stato dall’altra parte del bancone.
ZERO – Buongiorno Maurizio, con chi cominciamo?
Maurizio Stocchetto – Per primo ti parlerò di James Irvine e faccio una premessa: non amo molto parlare delle persone che frequentano il Bar Basso, per me è una piccola tortura. Il barman deve essere sempre molto riservato. Però capisco che questo è anche un gioco per raccontare la storia del Bar Basso e ti parlerò solo degli amici o di alcune persone che ormai non ci sono più.
Come arrivò James Irvine al Bar Basso?
James capitò qui una sera, molto tardi, mentre stavo tirando giù la claire. Erano in cinque: lui, Stefano Giovannoni, Thomas Sandell, Marc Newson, Jasper Morrison. A quei tempi non c’era molto interesse per l’industrial design. Restammo a chiacchierare fino a molto tardi e tornarono ancora. Così il Bar Basso è diventato negli anni una casa per alcuni di loro e per molti che vengono a Milano per il Salone del Mobile.
James è sempre tornato, vero?
Certo. Una volta gli hanno fatto anche delle foto al bancone per un servizio su H.O.M.E. in cui si parlava del Bar Basso e soprattutto dei bicchieroni che avevamo fatto rifare da WMF, un’azienda tedesca di cristalleria. Poi però mi disse che da quel giorno molti gli chiedevano «Ma tu sei sempre al bar?».
Avete anche dedicato un cocktail a un giornalista, vero?
Sì, per Vittorio Mistri, un giornalista del Sole24Ore, il quale beveva sempre il Cardinale, un Negroni molto secco, fatto con vermouth dry al posto del vermouth rosso. Allora inventammo per lui Stampa, un drink a base vodka con il caffè sul bordo del bicchiere. Molto concettuale: il caffè cade e rimane sui polpastrelli, come l’inchiostro del quotidiano.
Ricordi qualche fotografo a quei tempi?
Quando ero alle elementari uscivo da scuola e venivo al bar ad aspettare papà. Allora mi sedevo ai tavoli e ascoltavo le conversazioni. Ricordo Guido Alberto Rossi, fotografo freelance che era stato anche in Vietnam. Beveva sempre vodkatini. Era bello quando apriva le cartelle con le sue foto sul tavolo. Poi ricordo Nini Mulas e più recentemente Bruce Weber che è stato qui molto tempo per un progetto.
Venivano molti imprenditori a quei tempi?
Certo, veniva sempre Teodoro Carnielli, l’inventore della Graziella e poi Davide Caremoli, il produttore delle caramelle Golia e poi anche Gianni Arnoldi, un mio amico che aveva un’impresa di costruzioni a Bergamo ma nel tempo libero amava fare lo skipper in barca a vela ai Caraibi. Beveva sempre Negroni. Beveva e raccontava. Per me erano racconti bellissimi.
Sono venuti molti musicisti negli anni?
Ricordo Caterina Caselli e tante volte Adriano Celentano e Alberto Radius che aveva uno studio in zona. Poi ovviamente Giancarlo Barigozzi che aveva il suo studio di registrazione proprio qui dietro: ho visto passare un sacco di musicisti jazz della Black Saint e della Soul Note. Ricordo Max Roach qui per una settimana. Poi il mio grande amico Pino Presti: veniva qui già negli anni Sessanta, il papà violoncellista alla Scala. Suonava il basso elettrico poi divenne il direttore dell’orchestra di Mina da 1970 al 1978. Un vero nottambulo che però beve quasi sempre caffè o cappuccino, anche a tarda notte. Poi il mitico Gianni Sassi della Cramps, che viveva al Lucky Bar di via Tito Livio ma ogni lunedì, quando era chiuso, veniva qui.
Ci ricordi la visita di Sandro Pertini?
Purtroppo me la sono persa, ero in montagna! Però abbiamo molte foto e tanti racconti. Sandro Pertini era l’incubo della sua scorta, cambiava continuamente destinazione. Decise di fermarsi al Bar Basso e subito si radunò qui fuori una piccola folla. Era il 1980. Prese un Punt e Mes, pagò il conto e prima di andarsene andò per i tavoli a stringere la mano a tutti i clienti, uno a uno.
Pertini parla di libertà in viale Abruzzi a Milano, passando davanti al Bar Basso, e poi fino a piazzale Loreto
Chi ricordi tra gli uomini sportivi?
Be’, gli sportivi in generale non escono molto la sera. Ricordo qualche fuga di Giovanni Trapattoni che poi tu hai ritrovato una sera qui al bancone. Poi ricordo Cesare Maldini. C’è stato poi un cliente mancato: David Beckham. Era uscita sul giornale la notizia che aveva deciso di prendere casa proprio qui sopra. Una vera bufala.
Non solo calciatori, vero?
Negli anni Ottanta venivano i giocatori di basket della Simmenthal. Ricordo Mike D’Antoni e Sandro Gamba. Soprattutto ricordo Walter Rapetti che allenava la Pallavolo Gonzaga. Beveva sempre il Davide, un cocktail a base Bitter e Cordial Campari che non si può più fare perché il Cordial ormai è fuori produzione. A volte portava squadre che venivano a Milano da oltre cortina: Polonia, Russia, Ungheria. Stare al Basso per loro era un’esperienza incredibile.
C’è poi la storia del colonnello, vero?
Certo, quella è una storia più antica, che nasce quando mio padre era a Cortina. Il colonnello era un uomo di mondo, mezzo parente dei Fürstenberg. Amava bere Vodka Martini ma durante la campagna di Russia, non essendoci il vermouth, se lo preparava con un goccino di sherry. Così nacque il Colonnello, un cocktail che in sostanza ha inventato lui.
Ci sono un sacco di cocktail con nomi femminili…
Sì, sono legati a ragazze passate di qua negli anni, ragazze di cui si è persa la memoria: Pamela, Patrizia, Roberta… mio padre a un certo punto fece anche il Maurizio, una specie di Martini a base vodka con cherry brandy. Devo dire che non è proprio un granché…
Torniamo al mondo della musica e ai musicisti contemporanei.
C’è Roberto Cacciapaglia che venne qui la prima volta anni fa con una mia amica americana. Prende spesso il Mangia e Bevi soprattutto quando viene con i famigliari. A volte invece viene solo e allora prende un Martini Dry. Roberto ha un approccio introspettivo rispetto ai cocktail: beve e riflette. Mi piace pensare che siano momenti d’ispirazione. Poi ci mettiamo a chiacchierare.
Un cliente molto ricorrente è Massimo De Carlo.
Ordina spesso il Gimlet ma a volte solo un’acqua minerale gassata. Gli sono molto riconoscente perché in qualche modo Massimo ha cambiato la mia vita. Nella sua galleria di viale Corsica ho conosciuto alcuni suoi artisti Mario Airò, Paola Pivi, ultimamente anche Diego Perrone, che ha scritto un bellissimo testo per il sito del Bar Basso, ma soprattutto Massimo Bartolini che ha cominciato a frequentare il Basso ogni volta che veniva a Milano. Un giorno Massimo mi ha chiesto di fare dei cocktail in un bar che aveva disegnato per la Biennale di Venezia del 2001: è stato lì che ho conosciuto Pia Bianchi. Finimmo a una festa giapponese al Londra Palace. Da quel giorno non ci siamo più lasciati.
A proposito dei testi del sito, cosa mi dici di Bugo?
Bugo era venuto qui un giorno con Gea Politi per il lancio del suo primo disco con la Universal. Da allora torna spesso. A proposito di musica poi, facciamo di tanto in tanto il giovedì sbagliato con Massimo Torrigiani in veste di dj.
Cosa mi dici di Charlemagne Palestine?
Ho un ricordo un po’ sfocato, però mi raccontano di una sera in cui aveva davvero dato fondo alle scorte del Basso. Beve sempre Negroni. So che ci conosce dagli anni Settanta, quando aveva fatto una performance in città da Salvatore Ala e si era fatto pagare parte del cachet in consumazioni al Bar Basso.
C’è poi un lungo rapporto con Steve Sando che anche io conosco da anni.
Nel 1988 era venuto a Milano con Beth Ladove, lavorava per Esprit e avevano chiamato Ettore Sottsass per disegnare il negozio. Era già molto appassionato di cocktail e di jazz, soprattutto di cantanti degli anni Sessanta. Quando è tornato a San Francisco si è messo a fare musicassette per i bar e da allora non ha più smesso. Lo seguo da anni su MisterLucky.com e ora insegna anche a Stanford. Proprio di cultura dei cocktail. Simpatico.
Hai mai avuto un consulente musicale?
Non esattamente, però avevo un amico che lavorava nella musica: Franco Ratti della IRD, distributore di moltissime etichette. Veniva sempre qui a bere finché una mattina m’invitò nel suo magazzino dove avevo la possibilità di comprare dischi a prezzo super scontato. Mi gettai sul jazz e sul blues. Ricordo che spesi 1 milione di lire. Sono tutti dischi che si ascoltano ancora qui in sottofondo.
Com’è nata la famosa foto della macchina giapponese?
Quella è stata fatta dal Nippon Design Center: è una vecchia Toyota. Poi per molti anni ho avuto come cliente Sheguro Ayashi, un vero genio. Direttore generale della Suntory, distributrice di un sacco di marchi di spirits tipo il Macallan.
Arriva un cliente straniero e gli stringe la mano: “You know, Maurizio, you can learn from your mistakes. And I learn from your sbagliati!”.
Chi sono politici che hanno frequentato il Basso negli anni?
Certo che dopo aver parlato di Pertini… Al Basso c’è stato sempre di tutto. Qui di fronte abitava l’onorevole Severino, braccio destro di Almirante. A volte lo vedevi seduto al tavolo a fianco di Mario Capanna. Poi sono venuti sempre tanti giornalisti, da Gad Lerner a Paolo Liguori, quelli della Polizia Celere e quelli del Leoncavallo. Insomma, un bel misto di operai, industriali, tranvieri, cantanti…
Al Bar Basso hanno girato anche dei film, vero?
Sì, alcuni spot tipo quello del Crodino con il gorilla, ma era stato molto bello Emmanuelle di Cesare Canevari sceneggiatore di Gillo Pontecorvo, con Erika Blanc, Paola Ferrari e Adolfo Celi. Le musiche erano di Mina. C’è una scena in cui lei scopre che il suo compagno è morto in un incidente. Ecco, è un bello sguardo sugli anni 60 e sulla vita di quegli anni. Peccato che nel film, vista la notizia, lei non faccia nemmeno in tempo a bersi un drink.
Il Bar Basso è anche un posto di scrittori?
Certo, è stato sempre molto frequentato da Carlo Castellaneta e poi da Camilla Baresani e Antonio Scurati, il quale ovviamente è molto appassionato di America, beve Manhattan e Old Fashion. Mi ha anche regalato Thirsty Muse, un libro che parla di come i cocktail hanno ispirato Faulkner, Dos Passos, Hemingway, Fitzgerald…
Vedo spesso un cliente che beve sempre da una coppa d’argento.
Sono quattro coppe che mi aveva regalato Amleto Missaglia molti anni fa. Ne hanno rubate tre e ne è rimasto solo una. Ci serviamo il Bitter Campari, solo al bancone, ma non è di un cliente specifico. Bere in quella coppa è solo una questione di tempismo.
Anche Massimiliano Gioni viene spesso, vero?
Certo, ordina sempre Negroni Sbagliato. Mi piace perché porta spesso gli artisti prima delle grandi mostre che ha organizzato alla Fondazione Trussardi. Ricordo Fischli e Weiss, Allora & Calzadilla, Paul McCarthy. Bellissime serate.
Vengono anche alcuni colleghi?
Certo, per esempio Alex Kratena capo barman dell’Artesian Bar del Langham Hotel di Londra, oppure Tommaso Cecca del Trussardi Café e poi tanti altri colleghi, soprattutto storici. È sempre bello incontrarci e scambiarci idee. In ogni caso, posso dirti una cosa? Non vorrei passasse l’idea che vogliamo essere un bar di celebrità. Ci piace l’opposto. Il cliente deve essere coccolato, sentirsi come tutti gli altri. È bello mescolare le persone ma sapere che il Bar Basso è sempre la casa di tutti.