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Cristiana Collu

Lo scorso ottobre la Galleria Nazionale d'Arte Moderna e Contemporanea è passata a nuova vita grazie a un riallestimento che ha fatto nascere un acceso dibattito -Time Is Out of Joint il titolo - e una direttrice eterodossa: Cristiana Collu. Ci siamo fatti raccontare direttamente da lei questo primo movimentato mese di attività.

Scritto da Nicola Gerundino il 22 novembre 2016
Aggiornato il 20 febbraio 2017

Foto di Luca Rento

Lo scorso ottobre a Roma è successo un qualcosa di abbastanza paradossale, tanto da poter gridare a un piccolo miracolo: una delle istituzioni museali di Roma tra le più sommerse e mal considerate è riuscita a scatenare un acceso dibattito culturale cittadino – e per larghi tratti anche nazionale – investendo non solo le fasce dell’arte moderna e contemporanea, ma tutto il mondo dei musei, perchè il nocciolo della questione è stato proprio il ruolo che un museo deve avere, la sua identità e la sua missione. Tutto ciò è avvenuto in occasione dell’apertura al pubblico di Time Is Out of Joint, riallestimento – o mostra a se stante? – della Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea, pensato e voluto da Cristiana Collu, che della Galleria è la nuova direttrice. Proprio a lei ci siamo rivolti in questa intervista per trovare risposta alle nostre curiosità e fare qualche considerazione. Vi riportiamo anche un estratto del testo che introduce l’esibizione, posizionato all’inizio del percorso di visita, vi darà una mano a entrare subito nel merito della questione:

«Time is Out of Joint mette in campo una eterodossia, una disobbedienza, una sovversione così naturale che si potrebbe definire con Jàbes “uno dei momenti privilegiati in cui si ristabilisce il nostro equilibrio precario” e si configura un incipit. Un punto sorgente e una persistenza che mette fuori gioco qualsiasi certezza cronologica e mette in campo una temporalità plastica che si comporta come il bosone di Higgs, dipende dunque dal nostro sguardo. E con un vero e proprio montaggio, con la parzialità che ogni scelta e ogni selezione porta con sé, fa precipitare il tempo storico cronologico, anacronizza passato, presente e futuro, ricostruisce e fa decantare un altro tempo, mentre mette in evidenza intervalli e durate, riprese e contrattempi».

L'attuale ingresso della Galleria Nazionale d'Arte Moderna e Contemporanea, Foto di Giorgio Benni.
L’attuale ingresso della Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea, Foto di Giorgio Benni.

 

ZERO – Iniziamo dal primo giorno: cosa ha trovato nella Galleria la prima volta che ci ha messo piede da direttrice?
Cristiana Collu – Ho trovato un luogo in attesa, dunque, come dice Jàbes, un luogo ospitale: tutte le persone mi hanno accolto con curiosità e disponibilità al cambiamento, che è iniziato a partire dagli spazi a disposizione del pubblico.

Qual è la sua visione della Galleria? Cosa dovrebbe essere, sia in relazione al pubblico che la vista sia in relazione al tessuto culturale e museale, di Roma prima e dell’Italia poi?
La mia visione della Galleria è strettamente intrecciata con un’idea di museo che ho sempre professato e praticato, che a sua volta è strettamente legata all’ascolto e dunque alla relazione con la specificità del luogo e alla definizione di David Thorp, per me ancora insuperata e che cito nuovamente qui: «Mi aspetto da un’istituzione artistica del XXI Secolo che sia flessibile, sincera, democratica, multiculturale, contraddittoria e audace. Splendida quando è ricca, eroica quando non ha denaro. Deve avere la testa fra le nuvole, funzionare in maniera esemplare, avere lo spirito di squadra, i piedi per terra e un cuore grande così. Mi aspetto che ami gli artisti, si prenda cura del pubblico e rimanga aperta sino a tardi».

Lo scorcio di un cortile interno della Galleria. Foto di Fernando Guerra.
Lo scorcio di un cortile interno della Galleria. Foto di Fernando Guerra.

Come e quando nasce l’idea che ha generato Times Is Out of Joint?
Nasce subito, al mio arrivo, proprio in virtù di quanto ho appena detto. Ho pensato che fosse urgente riconfigurare e riposizionare la Galleria come spazio architettonico, come contenitore, in relazione al contenuto: la sua celebrata e strepitosa collezione. Time nasce guardando la Galleria nel contesto di una città straordinaria come Roma.

Alcune delle opere esposte sono “courtesy of”, mi sono chiesto durante la visita se fossero state domandate dalla Galleria perché ritenute necessarie alla fine del completamento dell’allestimento o se fossero state date in una fase precedente e avete voluto (saputo) comunque dargli una collocazione.
In Time sono presenti opere prevalentemente della collezione della Galleria, insieme a opere in prestito da musei, gallerie private, collezionisti e artisti puntuali e in relazione alla narrazione della mostra, a testimoniare la ricchezza di quello che viene definito il “sistema dell’arte”, in una fertile e rispettosa convivenza.

Foto di Giorgio Benni.
Foto di Giorgio Benni.

Andiamo nel dettaglio di questo nuovo allestimento facendo, però, un piccolo passo indietro. Cosa c’era nel vecchio allestimento che secondo lei non andava?
Non c’era nulla che non andasse, semplicemente rispondeva a un altro tempo e a altre istanze.

La scelta di usare l’eterodossia come metodo – seppur le due parole possono sembrare in contraddizione – da cosa è scaturita? Dalla necessità di far fronte a un magazzino vastissimo ed eterogeneo oppure dalla volontà di sollecitare il pubblico in modi nuovi?
I depositi dei musei sono fortunatamente ricchissimi e sono come le fondamenta: non si vedono, non si devono necessariamente vedere ma sostengono tutto l’impianto e soprattutto sono disponibili e accessibili. Sono la rappresentazione di una delle cruciali funzioni del museo: la conservazione e la tutela del patrimonio. Grazie a questo patrimonio è possibile costruire molti progetti espositivi. Per quanto riguarda invece il discorso sull’eterodossia, per me è sempre solo ex post, nel momento in cui lavoro non ce l’ho in mente, né come programma né come strategia.

Personalmente ritengo che sia un allestimento che lavora molto sui sensi o su capacità che quasi potremmo definire universali o addirittura innate: la capacità di riconoscere e associare forme, colori, tipi umani, figure, di creare collegamenti. Penso alla sala in cui i Centauri di de Chirico sono assieme alla Crocefissione di Guttuso e a un Rosso di Burri, che diventa quasi un grumo gigante di quel sangue che si vede negli altri due quadri. O al Nudo sul divano di Mafai che, stilizzato, diventa l’opera su legno di Cucchi. Quindi, paradossalmente, un allestimento in grado di prendere per mano non dico qualsiasi spettatore, ma quasi.
Io toglierei il quasi, non credo si possa avere in mente un visitatore, una tipologia di pubblico, si diventa escludenti a priori.

Foto di Giorgio Benni.
Foto di Giorgio Benni.

Ho pensato anche che ci sono un paio di sale in cui questa eterodossia si cristallizza, per poi ritornare allo stato gassoso in altri punti: la sala con le ninfe e quella con le foto di Roma di Basilico che si specchiano nei quadri di de Chirico. È così?
Non ci sono risposte sbagliate, quello che dici fa parte della tua esperienza.

Foto di Giorgio Benni.
Foto di Giorgio Benni.

Possiamo provare a sbrogliare quella che probabilmente è stata e sarà la sala più fotografata? Come come si legge l’asse che infilza il mare di Pascali con Ercole e le spine di Penone?
Tu come lo hai letto?
Come tre cose che stanno molto bene assieme, a tal punto che a più di una persona hanno fatto fare grandi sospiri.

Foto di Giorgio Benni.
Foto di Giorgio Benni.

Faccio l’avvocato del diavolo e prendo alcuni pezzi della lettera di Fabio Benzi (uno dei membri del comitato scientifico della Galleria, in disaccordo con il nuovo allestimento, nda) rispetto a ognuno dei quali mi piacerebbe avere una sua risposta: «L’allestimento attuale obbedisce al principio di fondo in base a cui l’arte è sempre contemporanea, poiché contemporaneo è lo sguardo che la considera»; «Lo sguardo fondato sul criterio dell’ “eterna contemporaneità” tralascia di valorizzare troppi significati intrinseci dell’opera d’arte e soprattutto dei loro creatori, gli artisti», «L’attuale allestimento è più simile a una Biennale che non a un Museo».
È la rispettabile opinione di Fabio Benzi.

Personalmente mi è piaciuto molto questo allestimento. Qual è il suo giudizio finale: moderata o ampia soddisfazione?
Mi sono divertita prima durante e dopo, pur facendo una fatica enorme.

Ha una sua sala preferita?
Vedo Time nel suo insieme.

Quanto durerà questo allestimento e quello successivo sarà guidato dalla stessa eterodossia? Ci saranno opere nuove o troveremo le stesse riassemblate in maniera diversa?
La durata di questo allestimento è nota (fino al 15 aprile 2018, nda). Tendo a non pensare al prossimo, per il momento.

Foto di Giorgio Benni.
Foto di Giorgio Benni.