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Luca Quartarone

Evasione, vinili e vini naturali: dal Quartiere MACRO al centro città

quartiere MACRO

Scritto da Giulio Pecci il 17 giugno 2022

Foto di Guido Gazzilli

Luogo di residenza

Roma

Luca Quartarone è il giovanissimo comproprietario e fondatore di Frissón: listening bar dall’impianto eccezionale, shop di vinili e piccola libreria con un occhio attento all’enogastronomia. Un luogo “molto poco italiano”, la cui apertura nell’ultimo anno è stata tra le novità più apprezzate dagli appassionati di musica e cultura, grazie anche a una programmazione eterogenea: dal jazz all’elettronica sperimentale, passando per la club culture e il cantautorato di qualità. Il locale di Luca si trova al centro di Roma, ma lui è nato e cresciuto a due passi dal MACRO e tutt’oggi abita qui.

“Ho questa cosa dentro: se mi rendo conto che c’è qualcosa di valido culturalmente, che può far stare bene la gente, divento peggio di un venditore Folletto.”

Com’è stato crescere in questo quartiere?

Ho avuto la fortuna di trovare un gruppo di amici al liceo con cui ho passato tutta l’adolescenza, tra cui lo stesso Pietro (Bernabini ndr.) che oggi lavora da Frissón occupandosi del lato gastronomico, soprattutto dei vini. Quindi l’ho vissuto bene. Non sono mai stato contrario a dinamiche “da quartiere”, però quel fenomeno che porta un gruppetto di amici a “colonizzare” un bar della zona, passandoci tutto il tempo secondo un senso di appartenenza becero e chiuso, l’ho sempre evitato. Per capirci, se oggi andassi a piazza Caprera (per altro bellissima) ci troverei delle persone identiche a come le ho lasciate sette anni fa.

Lato culturale?

Non c’è mai stata una grossa proposta, almeno quando ero più piccolo io. Anche il MACRO non aveva iniziato il percorso che sta portando avanti ora. Se ti danno un flyer in mano di solito è perché ha aperto una pizzeria nuova. Da questo punto di vista è stato sempre uno spostarsi altrove.

Quindi, un po’ per reazione, hai iniziato a uscire e trovare stimoli nuovi.

Be’, sì. Succedeva qualcosa solo quando ti concedevano la settimana dello studente al liceo. Avendo fatto il Giulio Cesare qui in zona, che è una scuola con un nome che ha una certa risonanza, spesso si riuscivano a portare personalità interessanti. Mi ricordo un incontro con Ilaria Cucchi quando ancora la vicenda di Stefano non aveva assunto caratteri enormi dal punto di vista mediatico. Oppure attori, musicisti. Lì si capiva un po’ la divisione tra chi rimaneva in palestra a fumare e chi invece andava in aula magna per seguire un incontro.

In generale, punti di riferimento qui in zona ne hai mai avuti?

Ho avuto la fortuna di vivermi bene tutto il percorso scolastico, in una situazione tranquilla, con il gruppo di amici con cui facevo sempre gli stessi giri. Il pomeriggio in piazza Caprera, a non fare nulla se non due palleggi con una palla, ogni weekend pizza e birra dal Gallo Rosso, uscire da scuola e prendere la pizza con le patate da Agostino. C’era un micro clima bello da cui però dovevi cercare di non farti incastrare.

In che senso?

Non adagiarsi, non smettere di guardare anche altrove. Questa è un posto tranquillo, ma poi il sabato sera non hai niente da fare. Se ti apri una pizzeria fai i miliardi, ancora oggi: è un quartiere di famiglie che si ordinano la pizza.

E se pensi all’avventura di Frissón? Come la metteresti in relazione con il posto in cui sei cresciuto?

Sono convinto che ci sia una linea continua nel mio percorso. Quando uscì il secondo album de I Cani, “Glamour”, ricordo di averlo fatto sentire a tutti compagni di classe, anche per i riferimenti espliciti al nostro quartiere. Per il tipo di aria che tirava a Corso Trieste (per altro titolo di uno dei brani), non è che fosse la roba più normale del mondo da ascoltare. Da lì in poi ho sviluppato questa mania di far conoscere sempre qualcosa di particolare a quegli amici che so che mi ascoltano. Questa spinta è ciò che mi ha mosso nel fare ricerca, comprare i vinili e iniziare anche a metterli come dj.

Insomma, hai tradotto nell’aprire un locale la spinta a condividere cose che non per forza arrivano a tutti.

Sì, esatto. Ho questa cosa dentro: se mi rendo conto che c’è qualcosa di valido culturalmente, che può far stare bene la gente, soprattutto le persone a me vicine, divento peggio di un venditore Folletto: assillo proprio! È partita dal far sentire I Cani a gente che faceva e pensava a tutt’altro, è arrivata all’apertura di Frissón.

Hai già citato Pietro, ma le persone con cui sei cresciuto nel quartiere ci sono entrate da Frissón?

Assolutamente sì. Tanti di loro ora fanno cose belle, c’è anche chi si è buttato in carriere artistiche o musicali.

Be’, non male.

Sì, penso che alla fine in diverse persone sia rimasta questa attitudine alla ricerca di qualcosa di diverso: non la solita birra in piedi a Corso Trieste, ma sviluppare un gusto proprio. Io non mi accontento di chiamare la qualunque nel mio locale, di ascoltare cose che non mi attirano. C’è una dedizione allo studio che mi è rimasta dagli anni del liceo, una ricerca su quello che mi piace davvero. La mia ragazza (anche lei cresciuta in zona) mi dice che comunque le cose qui si stanno muovendo a livello più giovanile: sono sicuro che ci saranno cambiamenti e che anche da queste parti si porteranno cose belle, come sta facendo il MACRO d’altronde. Ci vado spesso, l’ultima volta è stato per lo showcase della Presto!?, l’etichetta di Lorenzo Senni. Ma ci andavo anche ai tempi dell’università per studiare al bar.

Vorrei chiudere chiedendoti una carrellata di nomi. Locali a cui sei affezionato e persone che fanno cose interessanti.

Allargandomi un po’ anche alla zona Trieste, ti dico il Bar Benaco, Santi Sebastiano e Valentino, Agostino, Siria Kebab e San Marino, in via di San Marino. Tutti posti genuini, non per forza “fighetti”, ma comunque eccellenze del quartiere. Per le persone parto sicuramente dal già citato Pietro Bernabini, che oltre a lavorare con me da Frissón fa questo podcast bellissimo che si chiama “Lingua Lunga”, in cui intervista realtà molto belle parlando di cucina contemporanea. Ci sono poi Pietro Torcolini e Valerio Antonini, che da pochissimo hanno fondato una casa di produzione cinematografica, A Little Confidence. Nel primo anno di attività hanno prodotto due corti molto belli: “Don’t Be Cruel”, per la regia di Andrej Chinappi, e il corto animato “Away From Home”, diretto e realizzato da Brunella Bolzani.