Quarantacinque anni di musica e lotte politiche. Quarantacinque anni di sottocultura, concerti sudati, nottate, cortei e presidi. Quarantacinque anni di Roma. Cristiano Rea, oltre che un fine disegnatore, può essere ormai considerato uno dei grandi narratori della città, o meglio, di quella città che continua a piacerci di più: ostinatamente contro e immaginifica, istintiva e a suo modo visionaria. “In qualche modo mi sono dovuto creare un immaginario, una Roma/New York che non esisteva”. Non esisteva perché la Roma “in carne e cemento” a cavallo tra gli anni Settanta e Ottanta era una città politicizzata in maniera quasi totalizzante, perché chi non si ritrovava nell’agone partitico facilmente si perdeva nell’eroina dilagante, perché internet e il digitale ancora appartenevano alla categoria dell’utopico. Matite, pennelli, chine e giù a disegnare locandine e manifesti per centinai di concerti nei centri sociali della città o per quel luogo seminale della Roma post e wave che è stato il Uonna Club. Una memoria preziosa che grazie a Federico Guglielmi, curatore del volume, e a Godfellas, casa editrice, verrà custodita finalmente in un volume antologico: “Pank! 1977-2022. Poster e disegni di Cristiano Rea”. In vista della presentazione ufficiale in programma venerdì 3 febbraio al Forte – e non poteva essere altrimenti – abbiamo deciso di fare due chiacchiere direttamente con Cristiano per farci raccontare la sua storia, che continua a ispirare anche il presente della città: basti pensare che la prefazione del libro è firmata da Zerocalcare, che non hai mai nascosto la sua passione e ammirazione per quei manifesti firmati “C.Rea” visti per anni sui muri della città.
Nel tuo percorso musica e disegno vanno di pari passo, sarei però curioso di sapere se uno di questi due elementi ha fatto da catalizzatore per l'altro.
La passione per il disegno viene da lontano, in qualche modo favorita dall’ambito familiare. Da bambino, la domenica, c’era il rito di andare a comprare Topolino in edicola. In seguito il Corriere dei ragazzi, con disegnatori incredibili come Sergio Toppi, Dino Battaglia di cui solo dopo avrei scoperto la grandezza. A metà anni settanta mi sono appassionato ai supereroi della Marvel, “L’Uomo Ragno” su tutti, disegnato da John Romita, ma anche da Steve Dikto. Anche la musica era sempre presente in casa grazie a un giradischi Lesa e a una serie di 45 giri senza più copertina dei Beatles, I Giganti, Mina, Chubby Checker o Gene Vincent. Ho iniziato ad apprezzare lo stile del rock’n’roll e a disegnare ipotetici rocker senza avere riferimenti fotografici a cui ispirarmi, se non poche tracce reperibili all’epoca su settimanali come L’intrepido e Il monello.
Quali sono state le band che ti hanno portato nel mondo del punk prima e della wave dopo?
Nel 1977 musicalmente ero assediato dal barocchismo progressive che andava per la maggiore, quantomeno negli ambienti che frequentavo. Doppi album, suite strumentali lunghissime: veniva apprezzato il virtuosismo fine a sé stesso. O quanto meno io lo percepivo così. Meglio un’attacco di Chuck Berry che un quarto d’ora di tastiere! Poi fortunosamente arrivarono a scuotermi i Ramones, con un pezzo di pochi minuti senza rullate, senza assolo di chitarra. Un rock’n’roll che non era rock’n’roll e suonava estremamente nuovo e carico di energia. Il loro LP “Leave Home” mi ha accompagnato per tutto il ’77 e il ’78 e si è impresso nel mio DNA musicale. Con l’ondata inglese si sono poi aperte le mie personali porte della percezione: intanto la rabbia, veicolata senza mezzi termini dai Sex Pistols, poi contenuti quali crisi economica, anarchismo, avanguardie storiche, tematiche più vicine alla realtà sociale che vivevo in quel momento in Italia, diverse dal nichilismo tout court degli americani Ramones. Nella new wave sono stato traghettato da quelle meraviglie musicali che cominciarono a palesarsi a cavallo tra il ’78 e il ’79 come gli Ultravox con John Foxx, i 999, poi i Killing Joke e i Joy Division.
I soggetti dei tuoi disegni nella fase "matura" sono stati esclusivamente musicali o ti divertivi a realizzare anche altro?
Alla fine degli anni settanta per me la musica era totalizzante, le novità tante ed era difficile reperire tracce visive. In qualche modo mi sono dovuto creare un immaginario, una Roma/New York che non esisteva. Disegnavo locandine e fanzine per i gruppi dove suonavo la batteria: due, tre esperienze che non approdarono mai a un concerto vero e proprio.
Andando in giro per strada ti incuriosiva quello che vedevi sui muri e le storie che questi potevano permettere di raccontare, seppure la comunicazione partitica aveva quasi il monopolio di tutti gli spazi?
Il ricordo che ho di Roma è quasi da realtà distopica. Lo scontro politico sovrastava tutto: slogan cubitali ti invitavano a schierarti dall’una o dall’altra parte, il linguaggio era violento come lo era la realtà in quel momento. Ricordo queste espressioni di strada – striscioni, scritte vergate con vernice – più che manifesti o altro in particolare.
Qual è stata la tua prima locandina e chi ti ha chiesto di disegnarla?
Nel 1981 alcuni ex compagni di scuola presero in gestione una discoteca sulla via Cassia qui a Roma, con l’intenzione di suonarci musica punk e new wave, ma anche ska, new romantic etc. Si ricordarono che “disegnavo bene” e mi commissionarono la tessera e la prima locandina con il programma mensile delle serate. La firma C.Rea cominciò a girare tra i frequentatori e i gruppi che si esibivano al Uonna Club, e da qui sono nate le richieste di collaborazione con quasi tutta la scena musicale romana dei primi Ottanta. Valerio Lazzaretti, storico amico, ha curato nel libro delle ottime schede sia sull’epopea del Uonna che dei centri sociali occupati.
C'erano disegnatori, italiani e non, a cui ti sei ispirato in quel periodo? Autori in fanzine o riviste che hanno guidato il tuo tratto?
Avrei voluto disegnare come José Muñoz disegnava il suo Alack Sinner in quella cupa New York meticcia e drogata. Poi ci fu la sbandata per quelli di Cannibale: Andrea Pazienza, Tamburini, Scozzari e Liberatore. La nostra new wave del fumetto.
Il libro parte dai disegni del 1977. Com'era la tua città in quegli anni?
Roma aveva una geografia di piazze e strade fortemente caratterizzata dalla politica. Ci si incontrava nei luoghi meno “impegnati”, fermate di autobus, piazze anonime e quando possibile nelle camere di quelli più fortunati che ne avevano una tutta per sé. Qui ascoltavamo i dischi che spesso compravamo collettivamente o rubavamo nelle grandi e distratte catene di vendita, tipo Ricordi. Oltre a noi quattro gatti punk c’era comunque il fermento del ’77, che coinvolgeva più o meno tutta la mia generazione e quelle precedenti. Attivismo politico ma anche creativo, non si può negare: sarebbe ora di smetterla di classificare quegli anni esclusivamente come “anni di piombo”, perché sono stati molto altro.
Immagino che anche per te tutto il movimento nella zona di Centocelle, culminato poi nella nascita del Forte Presentino, sia stato fondamentale.
Sono arrivato a Centocelle a metà anni Ottanta, frequentando la sala prove degli Apocalisse Hotel, formazione che poi diverrà Garçon Fatal e di cui disegnerò la copertina di un 45 giri edito dalla RCA, sotto la produzione di Federico Guglielmi. Nel 1987 ideai il manifesto per la Festa del non lavoro del 1° maggio, per il primo anno di occupazione. Da allora fino al 1992 ho disegnato una serie di manifesti per il Forte che reputo ancora oggi tra i più riusciti. Parallelamente ho avuto modo di realizzare locandine e poster per quasi tutti i centri sociali romani, con collaborazioni rilevanti con Torre Maura e il Break Out a Primavalle. Con il gruppo Roma KO fummo invitati innumerevoli volte a suonare e ogni volta le locandine le disegnavo io.
Negli anni Novanta e Duemila com'è proseguito il tuo percorso?
Negli anni Novanta, ahimè, si è aperto un nuovo scenario con l’utilizzo dei computer, Apple in particolare, e mi ci sono buttato a capofitto abbandonando il disegno manuale per quello digitale, anche se non ero molto soddisfatto del mio stile. Le richieste di appoggio grafico erano tante e diverse tra loro, non avrei potuto soddisfarle tutte utilizzando ancora i letraset o il rapidograph. Dal 1991 ho iniziato a collaborare anche con la Gridalo Forte Records, realizzando, tra le altre, la copertina di “Balla e difendi”, prima compilation autoprodotta romana. Ho impaginato propaganda per tutto l’arco delle associazioni internazionaliste – dal sostegno ai sandinisti all’appoggio alle comunità zapatiste del Chiapas – e poi ancora per Radio Onda Rossa, il centro sociale Corto Circuito, il movimento dei Disobbedienti, Action, fino a Genova 2001 e oltre. Dal 2003, dopo un viaggio solidale nel Kurdistan turco, ho prestato la mia opera a favore della causa del popolo curdo, con produzione di manifesti, opuscoli e video reportage. Fino al 2014.
Arriviamo al libro in uscita per Goodfellas? Ci puoi raccontare com'è nato e cosa hai voluto raccontare?
Il libro nasce da una idea di Federico Guglielmi: io non ero molto convinto, ma la sua pacatezza e professionalità mi hanno guidato nel turbine della memoria, recuperando tracce disperse negli anni. Anni senza scanner, anni di “originali” consegnati senza preoccuparsi di riaverli indietro. Le tante lacune presenti nel mio archivio sono state colmate anche grazie all’affetto di amici o semplici conoscenti che hanno conservato, se non addirittura “scollato” dai muri della cameretta, i pezzi mancanti. Questo in particolare per l’epopea del Uonna Club. Il libro racchiude un pezzo della nostra memoria collettiva, musicale e politica, di Roma e non solo. Chi sfoglierà il libro si potrà ritrovare in foto graficizzate, nei manifesti di concerti e di mobilitazioni nazionali ed europee no-global.
Il titolo ci dice che i disegni all'interno del libro arrivano fino al 2022. Cosa hai realizzato in questi ultimi anni?
Dal 2017 ho intrapreso un mio personale percorso letterario e artistico, sulla spinta di letture febbrili riguardanti le dolorose vicende della Guerra e del Dopoguerra. Ho ritrovato il piacere di disegnare, questa volta senza vincoli particolari: matita morbida e segno sporco, tutto il contrario del passato e con più libertà espressiva.
Sei contento di aver realizzato questo libro?
Sono soddisfattissimo della produzione di Goodfellas, non potevo desiderare di più!