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Patrick Pistolesi

Patrick Pistolesi è uno dei barman che più ha contribuito a cambiare e diffondere la cultura del cocktail a Roma negli ultimi 10 anni. Un'intervista per ripercorrere le tappe principali... E scoprire che tutto (o quasi) è nato al cinema.

Scritto da Nicola Gerundino il 21 giugno 2017
Aggiornato il 22 giugno 2017

Data di nascita

31 ottobre 1978 (45 anni)

Luogo di nascita

Roma

Luogo di residenza

Roma

Attività

Bartender

Più o meno tutti noi abbiamo un amico o un’amica di cui ci fidiamo e di cui seguiamo tutte le idee, anche quelle meno logiche e razionali, perché ha quell’intuito che alla fine “ce prende sempre”. Con Patrick Pistolesi, in questi anni di rivoluzione della miscelazione a Roma, ha funzionato – e funziona tutt’ora – così: noi di Zero lo abbiamo seguito in tutte le sue avventure, più o meno sedentarie, e ogni volta abbiamo segnato sull’agenda nuovi posti dove bere ottimi cocktail, che si sono confermati tali negli anni. Per fare l’elenco ci vorrebbe parecchio tempo, per cui citiamo il bancone attuale dove potete assaggiare i suoi drink: quello del Caffè Propaganda. Lo abbiamo intervistato per ripercorrere questi anni di shakeramento intenso e pressoché perpetuo, scoprendo che alla fine tutto (o quasi) è nato al cinema…

pistolesi 2

 

ZERO: Iniziamo dai primi passi. Ti ricordi quando e come hai iniziato ad appassionarti al mondo della miscelazione?
Patrick Pistolesi: Sono per metà irlandese, fin da bambino sono entrato a contatto col mondo del bere tra pub e cugini più grandi un po’ monelli. Poi, in generale, la figura del barman, l’aristocratico della working class, quello di Casablanca e Shining, i Martini di Bond, i bourbon on the rocks, giacche bianche e donne sofisticate, Sinatra in sottofondo… Quello mi affascinava più di tutto.

Sean
Sean “Bond” Connery mixologist.

C’è stato un cocktail, un bartender o un locale che ha fatto scattare questa passione?
Sicuramente il Martini, poi sono venuti gli altri. Sono stato fortunato perché ho girato molto, quindi mi ha influenzato più di un luogo, ma, in generale, è più una sensazione che mi può impressionare positivamente e può riguardare anche un perfetto sconosciuto, con i suoi piccoli gesti: la pulizia del banco, come saluta i clienti, se li chiama per nome, come si muove… Quando vedo un barman sicuro di sé, confidente e affabile, m’innamoro subito.

Da chi hai “rubato” i trucchi e anche la passione del mestiere?
Di maestri ne ho avuti tanti, fin dai tempi della plastica, perché ho cominciato facendo da bere a masse assetate in discoteche puzzolenti fino all’alba, tutto rigorosamente in plastica. Se devo citare dei nomi, direi che il primo vero maestro è stato Eben Freeman di New York, che già dieci anni fa mi fece capire come stesse cambiando la miscelazione. Poi, naturalmente, tutti i miei colleghi illustri a cui mi sono ispirato e da cui ho preso spunto: Marian Beke, Antonio Parlapiano e tutti i ragazzi del Jerry, Daniele Gentili, i ragazzi del Rita di Milano, lezioni di stile da grandissimi come il signor Mauro Lotti. Come ho già detto, sono stato fortunato perché sono venuto a stretto contatto con tantissimi talenti e il talento mi spiazza totalmente, qualsiasi esso sia: quando vedo uno bravo a fare una cosa rimango in estasi.

Qual è l’insegnamento più importante che hai avuto?
Tosta questa, ne avuti tanti e mi rimprovero spesso di non seguirli abbastanza, ne dico un po’: sii te stesso, non copiare, sii puntuale, sii discreto, non ti risparmiare.

Il primo bar e il primo cocktail, te li ricordi?
Era una stagione estiva al Foro Italico e io mi ero improvvisato barman. Naturalmente non c’erano i prodotti che avevamo adesso ed era tutta plastica, ma ci si divertiva un sacco. Il mio primo drink è stato una Piña Colada fatta così: Mailbù, Batida de coco, succo d’ananas. Un’eresia a pensarci oggi, ma all’epoca la sfangai e nel frattempo mi ero innamorato del mestiere!

Che locali hai frequentato a Roma, soprattutto negli anni in cui era ancora difficile trovare un buon drink?
Erano veramente pochi, è vero: quando ho cominciato io era l’epoca degli irish pub e delle discoteche, per bere qualcosa c’era un localetto a San Giovanni che si chiamava Dome, con un immenso Nicola – che saluto – poi al Friends a Trilussa, pioniere a suo tempo…

Ci puoi raccontare il tuo percorso in questi anni a Roma? Quali sono i ricordi più forti che hai di tutte le tue esperienze?
Questi anni mi sono sfrecciati davanti come un proiettile. Ripeto ancora: sono stato fortunato, ma ho anche perseverato molto, non mi piace fare le liste, ma di bar ne ho curati tanti, alcuni bene, altri così e così, aprire il primo gin bar d’Italia assieme a Federico Tomasselli e la padrona di casa Barbara Ricci ( The Gin Corner, nda) è stato molto emozionante. Girare il Mondo grazie al mio lavoro, conoscere tanti bar e colleghi d’immenso talento mi riempie sempre il cuore di gioia, fare il brand ambassador, partecipare a gare internazionali… Se fatto bene questo è il lavoro più bello del Mondo!

Attualmente dietro quale bancone ti trovi?
Ora sono il bar manager del Caffè Propaganda in via Claudia, 15. Quando mi è stato proposto il cuore mi si è riempito di felicità: adoro quel bancone perché è quello di un cocktail bar a tutti gli effetti. Io lo chiamo “Il Ferrari”, perché mai ho avuto la fortuna di lavorare dietro un bancone così e con uno staff cosi! Livio Moreno, il mio braccio destro, è un vero talento, poi ci sono Riccardo Palleschi e Biagio Gennaro che sono due promesse vere!

Patrick e i suoi discepoli, al bancone del Propaganda.
Patrick e i suoi discepoli, al bancone del Propaganda.

Visto che un po’ di tempo è passato – anche per me che sono dall’altra parte dei banconi, ahimè – ti chiedo un tuo giudizio sulla miscelazione a Roma? Com’è cambiata per te questa piazza?
Tosta anche questa… La miscelazione a Roma negli ultimi anni è cresciuta esponenzialmente, ci sono dei bar stupendi trainati da ragazzi fortissimi: Roma non ha nulla da invidiare alle migliori capitali europee e, azzardo, mondiali. Il fatto è che in Italia tutto diventa una moda e viene sfruttato fino alla saturazione – guarda un po’ ora sono tutti barman, tatuatori, chef stellati… Il nostro è un lavoro serio, pieno di sacrifici, ci vuole sensibilità col cliente e spirito di sacrificio. È un lavoro che tratta alcol e si svolge la notte, non è cosa facile e non è cosa per tutti.

L’aver scoperto la buona miscelazione sarà un passo da cui non si tornerà indietro?
Lo spero. Ora siamo allo stallo: l’ospite ora è a conoscenza del cambiamento e sta diventando sempre più esigente ed è proprio ora che bisogna stare attenti, bisogna ricordarsi che stiamo in una fase di transizione, dobbiamo cercare di non ridurre l’alta miscelazione all’ennesimo McDonald’s chiamato diversamente. Non bisogna inflazionare e ricordarsi del cliente, dobbiamo metter a proprio agio le persone: siamo la ricreazione degli adulti. Siamo in una fase in cui il barman si difende dallo Spritz o dal Mojito e l’avventore dal Cognac Sazerac in agosto… Bisogna essere flessibili, oggi più che mai.
https://www.youtube.com/watch?v=JYOpW7L13rQ&t=59s

Il cocktail che preferisci preparare?
Dipende… A me piacciono tanto i classici ben eseguiti: un bel sour, un Martini o un Old Fashioned a mestiere. Più m’invecchio, più mi piacciono le cose semplici… Mi starò impigrendo?

Quello che preferisci bere?
Sicuramente il Gin & tonic. O un Martini, quando mi sento con la giusta grinta. Anche un bel Margarita, quando fa caldo.

Il cocktail più buono che hai mai assaggiato?
Il Brandy Crust al Becketts Kopf a Berlino o l’Old Fashioned di Tonino (Parlapiano).

Il tuo distillato preferito e quello con cui ti piace di più lavorare?
Primo whisky, secondi a pari merito gin e tequila.

Il barman che ti lascia ogni volta a bocca aperta?
Marian Beke, tecnicamente un mostro! Ma ce ne sono tantissimi.

Ci racconti una ricetta che hai creato in questi anni e a cui sei particolarmente legato?
Ne ho fatte tante, specialmente al Propaganda, non saprei davvero scegliere… Sono frutto di un lavoro di squadra e ormai non so distinguere più tra “mio” e “nostro”, quindi vi invito a provarle tutte. Se dovessi scegliere, però, citerei il Rise’n’Shine, il drink che mi ha fatto vincere la Nikka Perfect Serve e mi ha portato in Giappone. Si tratta di un sour molto semplice: whisky Nikka From The Barrel (50 ml), sake Yuzu (30ml), lime (30 ml), simple syrup 15 (ml), bianco d’uovo, servito in un tumbler basso con un bel blocchetto di ghiaccio limpido e toppino di vermouth italiano, a ricordo delle mie origini… Alla salute!

Cosa non deve mancare mai sul tuo bancone?
Cordialità, personalità, educazione, puntualità, attenzione ai dettagli, empatia con il cliente. Per il resto puoi anche vendere solo acqua minerale, per quanto mi riguarda.