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CORTE

Intervista al team di creativi che ha vinto l'edizione 2015 del concorso YAP, indetto dal MAXXI

Scritto da Nicola Gerundino il 19 giugno 2015
Aggiornato il 23 gennaio 2017

Sempre più spesso i musei, specialmente quelli di nuova generazione e centrati sull’arte contemporanea, si ritrovano ad ospitare progetti o eventi che esulano dalla tradizionale e canonica mostra. Il Maxxi non fa eccezione e da cinque anni promuove, con successo e riscontro da parte del pubblico, il concorso Yap (Young Architecture Program) che a ogni edizione premia un’installazione architettonica capace di dar nuova vita al piazzale pubblico del Museo. Il progetto vincitore del 2015, visitabile fino al prossimo 20 settembre, si chiama “Great Land” ed è stato ideato dallo studio romano CORTE, che abbiamo intervistato per l’occasione, parlando di architettura, di progettazione e di Roma.

Zero: Quando è nato CORTE e chi ne fa parte?

CORTE: Il progetto ha preso forma nel tempo, come evoluzione professionale e umana di quattro architetti: Giorgio Marchese (Messina, 08/05/1983), Daniele Marcotulli (Roma, 17/09/1975 – Amministratore), Arianna Nobile (Roma, 24/11/1980 – Amministratore) e Gabriel Enrique Narino (Bogotà, 23/11/1979); da sempre curiosi di intrecciare le proprie vite lavorative con figure provenienti da altri ambiti e con diverse esperienze. L’apertura a fine 2013 è stata solo il primo passo, CORTE vive e cresce grazie alle realtà autonome e indipendenti, dallo studio di architettura all’agenzia di design fino al freelance della creatività o della comunicazione, che vi entrano per condividere non solo un luogo di lavoro ma un modo di intenderlo. I “Consiglieri” di CORTE, la figura di partecipazione più completa, sono, oggi, Nicola Alicata (graphic designer), Cecilia Bandiera (graphic designer), Massimiliano Giglietti (graphic designer), Michele Malagoli (architetto paesaggista), Giorgio Marchese (architetto), Daniele Marcotulli (architetto), Arianna Nobile (architetto), Andrea Ottaviani (architetto), Annalaura Valitutti (art curator). Assieme a loro, una rete di persone con professionalità diverse, i “Raminghi”, converge a CORTE su progetti specifici.

Oltre che di architettura, di cosa si occupa CORTE?

Di comunicazione, grafica, eventi, servizi culturali, innovazione. L’obiettivo è costruire negli anni un gruppo con una visione ibrida della realtà, unendo saperi apparentemente distanti e mettendoli a disposizione di progetti davvero integrati; un insieme di soggetti indipendenti, altamente specializzati nei propri ambiti d’origine e aperti alla collaborazione e allo scambio reciproco

Che lavori avete realizzato a Roma fin’ora?

L’attività di CORTE prosegue senza sosta da fine 2013, la sua data di nascita. Eventi, laboratori, il contest “Nuovi Mondi” hanno caratterizzato la programmazione del primo anno. Poi la collaborazione con Red Bull per l’organizzazione di brainstorming creativi; quella con il Comune di Roma per la riqualificazione del Parco Campagna, un’ampia porzione di territorio nel quadrante Est, dismessa in seguito all’ultimazione dei lavori per l’alta velocità; l’attività integrata per il Vero, catena di ristorazione romana per la quale abbiamo appena curato la strategia di mercato, la comunicazione e l’architettura del nuovo punto vendita in Via XX Settembre.

Come e quando avete deciso di partecipare al progetto YAP?

Siamo stati invitati a partecipare alla preselezione, presentando la nostra candidatura con un portfolio di lavori e una breve descrizione. Poi la notizia di essere tra i cinque finalisti scelti dalla giuria e il brindisi per dare inizio alla sfida, tutt’altro che facile, visti i concorrenti.

Ci potete raccontare in breve Great Land, il progetto con cui, alla fine, avete vinto?

Great Land è uno stralcio di vita campestre inserito in un set urbano. Il programma di quest’anno chiedeva di tenere conto della contemporanea presenza al Maxxi della mostra Food, che indaga la relazione tra lo spazio e il cibo. Il pic-nic è diventato l’espediente per raccontare l’avvicinamento al cibo da parte dell’uomo e la sua relazione con la natura, contemporaneamente metafora di un approccio conviviale e presupposto di socialità. La nostra fetta di paesaggio si staglia al centro della piazza del MAXXI, servita all’interno di un vassoio che la distingue rispetto al contesto, rimarcando l’esistenza di un mondo esterno e di uno interno al progetto. Il primo che invoglia alla scoperta della scena, il secondo fondato sull’esperienza, sull’esplorazione del brano di territorio finalmente conquistato.
MAXXI-YAP 2015-Corte-GreatLand-Roma

Vi siete ispirati a un luogo o a un lavoro architettonico in particolare?

Tanti riferimenti, nessuno un particolare. Brainstormig, immagini, pensieri disordinati hanno pian piano sedimentato, generando la suggestione del cibo come occasione di condivisione a cui avvicinarsi in modo informale, come pretesto per mettere tutti i visitatori sullo stesso piano. L’immagine di un paesaggio spontaneo, agreste, che evocasse l’importanza e il valore della natura come risorsa capace di nutrire l’anima e ristorare il corpo si è subito fatta strada. I teli da pic-nic sono intervenuti subito dopo, accostati tra loro come pixel in legno sono diventati dei “campi” artificiali che caratterizzano le zone del palco e dei giochi d’acqua, divenendo in alcuni casi sedute. Dispositivo per il relax e, contemporaneamente, indice di consumo della risorsa naturale da parte dell’uomo.

Dei precedenti lavori vincitori di YAP, ce n’è qualcuno che vi è piaciuto in particolare?

Probabilmente WHATAMI è stato, fino ad oggi, il più iconico. Quello che il pubblico ricorda di più e con maggior piacere, ma anche quello che doveva rispondere a meno requisiti funzionali dei successivi. Alcuni, poi, hanno indagato meglio il rapporto con lo spazio in cui si inserivano, altri hanno risolto con grande bravura il tema della riconoscibilità. L’aspetto più interessante è che sono state tutte proposte molto diverse tra loro, segno che la procedura concorsuale è sempre vincente.
WHATAMI-Roma-Maxxi

Allargando un po’ la discussione, Roma è una città in cui l’architettura – quella “contemporanea”, chiamiamola così – fa fatica a muoversi e va un po’ a rilento: com’è il vostro rapporto con questa città?

Conflittuale, come tutti gli amori più viscerali. Roma ce l’hai nel sangue, la sua bellezza ti spezza il fiato, a volte ti soffoca. Combattiamo l’immobilismo con l’esperienza, molti dei cortigiani hanno vissuto e lavorato all’estero e tutti condividiamo un approccio che non ci permette di rimanere a braccia conserte.

Perché, secondo voi, il rapporto tra città e architettura qui è così tribolante??

Perché abbiamo paura di cambiare. Perché confondiamo il rispetto per la tradizione con l’abitudine all’imitazione. Perché ci abituiamo troppo facilmente al pressappochismo. Perché la città è cosa pubblica, non somma di particelle private. Perché ci ostiniamo a non capire che la buona architettura produce valore. E gente più felice.

E cosa manca a Roma per fare decollare l’architettura?

Una sana amministrazione. Che significa degli elettori consapevoli e dei cittadini che siano più di semplici abitanti. E una buona scuola, che insegni a camminare per Roma con gli occhi all’insù. Sembra strano, ma possiamo farcela!

Una parola per descrivere il rapporto tra Roma e l’architettura?

Contraddittorio

Una per quello tra Roma e l’architettura contemporanea?

Diffidenza

Chi sono i vostri architetti preferiti e perché?

Tutti quelli con i piedi per terra e la testa fra le nuvole. Quelle vere.

C’è un edificio in assoluto che rappresenta la vostra idea di architettura?

No. Ma diverse opere di Koolhass, Sejima, EMBT fanno vacillare la sicurezza di molti architetti a CORTE.

C’è anche qualche architetto romano di cui vi piace particolarmente il lavoro?

Ce ne sono, certo, anche tra i più giovani. Architetti che difendono con i denti la loro passione e fanno esercizi di equilibrismo tra professione e ricerca. E poi altri che rientrano nella stessa categoria, ma che tanto giovani non sono più, ma questo è un altro discorso. Lo Studio Labics, con cui Andrea Ottaviani ha collaborato a lungo, è certamente uno dei più interessanti tra i contemporanei.

Qual’è il vostro luogo preferito di Roma?

I ponti. Senza particolari preferenze. Da lì si può scegliere cosa amare tutte le volte che si vuole.
roma-tevere-ponte

E l’edificio preferito di Roma?

Quello nel quale si va meno volentieri, il Monumento ai Martiri delle Fosse Ardeatine.

Se poteste buttare giù un qualsiasi edificio di Roma, quale sarebbe?

Il Palazzo dello Sport di Calatrava, simbolo di una gestione nausante.
roma-calatrava-città dello sport

Se invece poteste costruire con un budget illimitato, cosa costruireste a Roma? E dove?

Neppure un metro cubo in più. Spazi pubblici e riqualificazione dell’esistente, lontano dal Centro.

In che quartiere vivete qua a Roma? All’interno del quartiere avete un vostro luogo preferito?

Viviamo in zone diverse: Pigneto, Garbatella, Quartiere Africano, Esquilino. In genere il bar sotto casa è sempre molto apprezzato!

Ci dite un ristorante, un bar e un locale dove vi piace andare quando non siete al lavoro?

Casetta Rossa a Garbatella, Osteria Qui se Magna al Pigneto, Bar Marani a San Lorenzo.