C’è una generazione di romantici che si è innamorata del design leggendo "Da cosa nasce cosa” (ed. Laterza, pochi euro) - alla faccia del libro naif e della sua grafica stagionata. Chi ha scelto di farcire il mondo di oggetti e soluzioni, su quel libro giura fedeltà alla poesia del design. Lui che giocava a biglie con i futuristi, l’incontro con Breton non l’ha manco scalfito. Ha studiato il Giappone per reinventare il packaging, la matematica con Peano per le curve estetiche, il pentagramma con Berio per la musica da film. Un santino del design, ma anche qualcosa di più, un creativo a tutto tondo. A cent'anni dalla nascita e a venti dalla storica retrospettiva di Palazzo Reale (quando era ancora in vita - privilegio concesso solo ad artisti ecumenici) si rende omaggio a Bruno Munari, il designer più fantasioso del Novecento. Suonerà come un epitaffio cheap, ma le sue parole per definire la figura del rivoluzionario escono dalle categorie e dai mestieri. “Quando qualcuno dice: 'questo lo so fare anch'io', vuol dire che lo sa rifare, altrimenti l'avrebbe già fatto prima”. Genio milanese il cui estro creativo godrebbe della stima di Leonardo da Vinci, Francesco Sforza e Sant’Ambrogio.
Bruno Munari
24/10/2007 - 10/2/2007, Rotonda della Besana, via Besana, Milano
Social