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Alberto Garutti. Didascalia

PAC - Padiglione d'Arte Contemporanea, Via Palestro 14, Milano

di Angela Maderna

Quanto avrei voluto essere uno di quei bambini nati nel 2000 a Bergamo; che bel ricordo sapere che la propria nascita ha acceso un lampione in piazza Dante. Non c’è meno poesia nella lastra che s’incontra all’aeroporto di Malpensa o sul binario di Cadorna, che dice “tutti i passi che ho fatto nella mia vita mi hanno condotto qui, ora”. Ho sempre amato il lavoro di Alberto Garutti e certo non sono l’unica. Forse è proprio quello che anche lui si aspetta di sentire quando riascolterà e trascriverà - per pubblicarle in un libro - le registrazioni dei 28 microfoni che ha posizionato nello spazio espositivo per intercettare tutto ciò che vi accade. D’altra parte, come dice Milan Kundera, “il desiderio di ammirazione è insaziabile” ancor di più quando il rapporto con i propri simili è così importante come in tutta la ricerca di Garutti. Mi sembra tuttavia che in questo caso la relazione armoniosa con gli altri e per gli altri sia stata violata – vedere una mostra è anche qualcosa di molto intimo – e che il lirismo della partecipazione sia stato sostituito dall’ossessione per il pettegolezzo, come dire? Piaccia o no, siamo il popolo di Facebook e del "Grande Fratello", in questo caso un grande fratello acustico, che non lascia scelta se non quella di godere della mostra in silenzio.

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