Tanto per fare subito le presentazioni, parliamo di un signore che ha trasformato una vecchia casa di Amburgo in un Museo della Muffa. Dieter Roth si è avvicinato a tante correnti dalla Concrete Art a Fluxus, ma uno dei suoi pallini è il deterioramento (della materia e dell'essere umano), come dire che tutto si trasforma fino all'autodistruzione. Per diversi motivi e nonostante i tanti spunti, faccio fatica a non pensare al “Merzbau” di Schwitters (che, caso vuole, con Roth condivide anche la nascita ad Hannover). Ma le colonne dell'artista svizzero trapiantato in Islanda - da cui la ricorrente iconigrafia dell’isola -, non sono fatte di spazzatura, c'è la torre di busti/autoritratto realizzata con 4 tonnellate di cioccolato e alta 5 metri, oppure quella di sculture di zucchero. Poi ci sono le stampe, come la serie di 60 raffigurazioni di Piccadilly Circus, nate a partire da una collezione di cartoline della moglie di Hamilton, o il video-diario quotidiano dell'ultimo anno di vita dell'artista, raccontato in 131 monitor. Tutto è riallestito con la collaborazione del figlio Björn, che dagli anni 80 ha lavorato insieme al padre e che per non farci mancare niente, insieme a Vicente Todolì (che firma la sua prima mostra all'Hangar), ha deciso di esporre anche il “Bar”. 60 mq d'installazione ambientale in cui tra video, disegni e strumenti musicali, potremo sederci al bancone e ordinare qualcosa da bere, a ulteriore riprova del fatto che non c’è separazione tra arte e vita. E poi se di deterioramento si deve parlare, meglio non rinunciare ai piaceri della vita.
Dieter Roth + Björn Roth - "Islands"
5/11/2013 - 9/2/2014 Hangar Bicocca, Via Chiese 2, Milano
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