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Iyo

Via Piero della Francesca 74, Milano

di Desiree Ferrari

Cenare da Iyo è un’esperienza, di quelle che ti si scombussolano i sensi tanto da rinnegare anche il giapponese più buono mangiato fino a quel momento. Non a caso stiamo parlando del primo ristorante fusion stellato sul suolo italiano. L’ambiente ricorda una commistione tra un tipico ristorante etno chic milanese e un ristorantino londinese di Soho con i tipici brickwall bene in vista e le bottiglie di vino appese al muro. Dopo aver lasciato il cappotto, siamo stati accolti da camerieri volenterosi di farci provare i loro amouse bouches (che classe i francesismi) di vario genere, tra cui ostriche accompagnate da champagne rosé e delle gustosissime caramelle ripiene di pasta fillo al nero di seppia.
Dopo qualche chiacchiera e 4 bicchieri di champagne veniamo accompagnati al tavolo dove ci viene presentato un menu degustazione. A ogni piatto un vino diverso per esaltare il gusto, così tra un Brut Zero Valentino Podere Rocche dei Manzoni del 2004, un Verdicchio dei castelli di Jesi, un Friulano Ronco delle Cime Venica e un Dirupi Valtellina Superiore, a girare non sono solo le regioni d’Italia ma anche la testa che inizia a dare chiari segnali di ebrezza. Ma torniamo al menu, che parte con un crudo di scampi con veli di vitello, pomodoro camone, tempura di alghe nori e gelée di Ponzu: la commistione mari e monti funziona molto bene. Passiamo al Nuta Ae – tonno, ricciola e salmone in salsa allo yozu, proseguiamo con una selezione dello chef di sushi di pescato del giorno, ramen e un fantastico carbonaro dell’Alaska in salsa di misu. Due parole le devo spendere su questo pesce che nasce nelle profondità del Pacifico settentrionale sotto ai 200 metri e che quindi cresce molto lentamente, tanto lentamente da diventare un tesoro nelle cucine dei migliori chef al mondo, primo tra tutti il famoso Nobu Matsuhisa. Non sappiamo a che età il povero carbonaro sia stato immolato, ma la causa vale totalmente la pena, questo è certo. Dopo il pesce gioiello finiamo con un’altra preziosa carne, quella del kobe tataki, ovvero del nobile manzo giapponese scottato che cresce sotto le regole ferree della prefettura di Hyogo. La cosa interessante di questo ristorante è la capacità di proporre piatti semplici con poche materie prime ma estremamente selezionate. Il menu è vasto e spazia dalla carne al pesce con piatti che prevedono anche l’unione piuttosto azzeccata di entrambi, finendo con dessert sopraffini, che uniscono l’estetica minimale giapponese ai sapori del cioccolataio più famoso d’Italia, Ernst Knam. I vini sono un altro tratto distintivo di Iyo con una selezione ampia e in grado di soddisfare tutti i palati. Il conto è piuttosto alto (una cena standard si aggira sui 90 euro a persona), ma in linea con le portate e la qualità proposta. Un viaggio tra i sapori di una terra lontana perfettamente rappresentata dallo chef Ichikawa che ha saputo sposare il gusto e il palato di commensali italiani. Per usare le parole di Beyoncè, ce ne usciamo da Iyo un po’ drunk in love.

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