Puntata #2
ALESSANDRO GAMBO
Agitatore culturale delle serate torinesi, la sua passione per il djing nasce durante i rave degli anni ’90, passa attraverso un amore sconsiderato per il vinile e i set nei migliori club europei, poi nel tempo si trasforma in una vera missione nel portare la musica di qualità nella propria città. A parlare per Alessandro Gambo sono i festival di cui ha curato o cura la direzione artistica (Varvara e Jazz Is Dead, generalmente a fine maggio, restiamo col fiato sospeso per la prossima edizione), le etichette fondate (Land Of Dance Records e Musica Altra) e i progetti di cui è dj resident e fondatore (Magazzino Paradiso e TUM).
A.V. – „Architettura Sussurrante“ (Ariston Music, 1983)
Mai come in questi giorni la CASA è diventata il centro della vita di ogni uomo: se inizialmente era il luogo da dove si usciva presto per poi rientrarci ore dopo solamente per riposare e rifocillarsi e continuare a girare nell’infinito loop della quotidianità, oggi, la CASA è lo spazio dove gioie e dolori, vita e morte, attività e riposo hanno luogo. Il disco che vi consiglio si intitola „Architettura Sussurante“, nasce da un’idea di Alessandro Mendini ed è stato realizzato grazie alla supervisione musicale di Mauro Sabbioni (tastierista dei Matia Bazar). Un tributo allo spazio, luogo, spesso descritto da vista, misure e luci, in questo caso da suoni intesi come elemento costitutivo, come decoro uditivo. Il disco è uscito nel 1983 ed è stato ristampato nel 2019 da AudioGlobe. L’album è una sorta di compilation che spazia tra sperimentazione, avanguardia, rock e punk, grazie ai brani dei Matia Bazar, degli Alchimia, dei Magazzini Criminali e dello stesso Alessandro Mendini, tra i più grandi artisti, architetti e designer mondiali.
„La casa ha il pavimento vischioso come il miele
la casa ha sempre una sedia per poterci lavorare
la casa nasconde sempre un terrorista
Casa mia casa mia per piccina che tu sia…
La casa ti permette di essere liberi solo al sabato mattina“
LAURA AGNUSDEI
I piedi ben piantati nella formazione classica, la testa proiettata verso lo spazio infinito dell’improvvisazione, dell’elettronica e finanche della musica dal mondo. L’inizio è con il progetto matto d’avanguardia Sex With Giallone, poi il Conservatorio a Bologna, i due album con i Julie’s Haircut, nel frattempo lo studio all’Istituto di Sonologia dell’Aia, la presenza in contesti (festival e tour) internazionali importanti e un’attività live indefessa dove Laura incrocia il background classico del sax con la sperimentazione analogica e improvvisativa. La speranza è di vederla presto live con l’ultimo album „Laurisilva„, magari con la band, magari d’estate immaginando di essere in una foresta tropicale.
Luciano Berio & Bruno Maderna – „Ritratto Di Città“ (Radiodramma, 1954)
Ero già nel letto, una di queste sere, e nel buio della camera stavo ascoltando su YouTube “Continuo” di Bruno Maderna. Finisce il pezzo e sento di aver forse placato abbastanza la mia ansia ed esser pronta al sonno, quando dal nulla compare una voce. «È molto difficile spiegare come succeda e perché succeda. É anche molto difficile sorprenderlo, scoprirlo. Parlo naturalmente di quel minuto, o di quell’ora, o di quel secondo, non importa, in cui a ogni nuovo risveglio di mattino, la città si trova tutta, improvvisamente e con sorpresa, coperta dal silenzio…». Improvvisamente, senza alcuno sforzo, mi ritrovo là dove adesso ci è più proibito essere: fuori di casa, ad attraversare velocemente ogni angolo di una città deserta, in attesa. É tutto estremamente vivido e ogni parola e suono sembrano descrivere precisamente le città come ce le immaginiamo adesso in una sera di quarantena. Sto ascoltando “Ritratto di Città”, documentario radiofonico a cura di Luciano Berio e Bruno Maderna, anno 1954, testo di Roberto Leydi. La città in questione è Milano, descritta in una giornata da mattina fino a notte, e infatti presto nel racconto la città si risveglia. Quella voce e quei suoni che sembravano descrivermi la distopia dei nostri giorni iniziano così a raccontarmi di una quotidiana frenesia metropolitana da osservare ormai con nostalgia, concedendosi il brivido di una persa normalità. L’opera appartiene alla preistoria dello Studio di Fonologia, poiché è stata realizzata sì negli studi RAI, ma un anno prima della fondazione del centro di ricerca, senza dunque la possibilità di accedere alle tecnologie specifiche per la produzione elettronica. Nella parte dell‘ “Ave Maria”, in cui ci sembra di sentire diverse voci sovrapporsi, si nasconde in realtà la molteplicità della singola Cathy Berberian. La parte sonora è un tripudio di musica per lo più concreta, in un perfetto equilibrio tra astrazione e descrizione, a ricordarci di quando il nostro paese era una delle voci più importanti nell’avanguardia elettroacoustica europea. Primati nazionali da tenere bene a mente al momento del risveglio.
MARCO FOLCO
Romano, classe 1989, dj e collezionista di suoni, Marco è il mastermind di una delle realtà musicali più interessanti nate a Roma negli ultimi tempi, Ascolti, serie di appuntamenti live che portano in location speciali della capitale artisti internazionali che fanno ricerca e sperimentazione. Un lavoro di divulgazione di musiche rare e lontane, a cui si aggiunge quello del „quartier generale“ Fischio, a metà fra chiosco, negozio di dischi e spazio per dj set.
Costin Miereanu – „Pianos-Miroirs“ (Poly-Art Records, 1984)
Uno dei miei dischi preferiti. Forse perché Miereanu – grande esploratore e manipolatore del suono, che tra il 1967 e il 1969 ha studiato con Stockhausen e Ligeti a Darmstadt – è un compositore rumeno, naturalizzato francese, e se devo essere onesto ho un debole per tutto ciò che è francese: negli ultimi anni la Francia ha decisamente influenzato i miei gusti. Il disco era nella mia want list di Discogs da un po‘ di tempo e, appena ne ho avuto la possibilità, l’ho comprato da un tipo di New York. Lo trovo un disco del tutto adatto al momento che stiamo attraversando. Molto minimalista: spoken word & piano. Amo di più la traccia sul lato B, „Musiche Climatiche“ (1979), meditativa e rilassante. Musica climatica (per un clima estremamente caldo: 102 gradi fahrenheit, con forte umidità), d’atmosfera, evocativa.
MARCO MONACI
È riuscito a far nascere e crescere un progetto di controcultura così testardo e pieno di identità, che quasi quasi oggi è più conosciuto (almeno nel „giro underground“ italico) più come mente di Volume che come chitarrista dei Fine Before You Came. Marco Monaci è l’uomo solo al comando – ma con tante collaborazioni sempre aperte, antenne drizzate e porta spalancata – di uno dei pochi negozi di dischi nati (e non chiusi) negli ultimi anni a Milano. Non solo un negozio di dischi, ma anche libreria indipendente (con attenzione al nuovo e alle nicchie), spazio per incontri, live, scambi di idee e una visione aperta di cosa significhi, oggi, far circolare cultura indipendente.
Rodrigo Tavares – „Congo“ (Hive Mind Records, 2016)
Questo disco ha una genesi particolare. Nasce in seguito a un road trip attraverso il Brasile culminato in uno concerto dei Sun City Girls in un ex locale gay lontano dal mondo e in una visita a un guaritore spirituale che porta il nome di John of God, ad Abadiânia, un villaggio sperduto nel centro paese. La fine di questo viaggio ha rappresentato l’inizio di un periodo creativo molto fertile per il chitarrista brasiliano Rodrigo Tavares: «I decided that I would try to forge, in my own way, from my references, from my universe and from the collective intelligence and sensibility that surrounded me, fundamental melodies, repetitive, minimal, hypnotic rhythmic and harmonic patterns that would be crossed by some sort of improvisation, something that referred to a reality that existed before my individual history, that linked to the life of other places and other times». Non è un caso che la musica di „Congo“ riesca a trascendere ogni categorizzazione, sino a elevarsi a suono universale. Quelle di Tavares sono composizioni strumentali ipnotiche, intime e malinconiche che affondano le proprie radici nella musica brasiliana di grandi maestri come João Gilberto, Dorival Caymmi, Tom Jobim, Milton Nascimento e Caetano Veloso, ma che le superano, delocalizzandole e portandole in territori lontani. Jazz, minimalismo, il miglior post rock di Slint e Tortoise (!), momenti di trance, improvvisazione, tutto dosato alla perfezione senza essere cerebrale, con arrangiamenti che sanno stupire a ogni ascolto. „Congo“ per me è stato come un colpo di fulmine. Non sono tanti i dischi che sanno crescere per diventare parte di te, come un’intuizione che piano piano prende forma fino a trasformarsi in pensiero e idea, cambiandoti nel profondo. Il cerchio si chiude.
STANDARDS
Per chi frequenta queste pagine, Standards è un nome e uno spazio più che familiare. Un progetto nato ormai qualche anno fa dalle menti di due artigiani del suono, Nicola Ratti e Alberto Boccardi, che tutt’oggi resta unico a Milano per il lavoro di ricerca musicale e per il tipo di esperienza live proposta, estremamente attenta alla fruizione del suono e all’intimità fra musicista e pubblico. Spazio che definiremmo „concettuale“, dove avvengono concerti unici (con artisti italiani e internazionali) sia per via delle performance realizzate ad hoc sia per il lavoro sul territorio con progetti di ricerca implementati da un team che negli anni si è allargato, accogliendo il lavoro di Michele Lori, Roberta Pagani, Attila Faravelli, Enrico Gilardi e Gaia Martino.
Aylu – „Serum“ (Sun Ark Records, 2018)
Dean Roberts – „Not Fire“ (Erstwhile Records, 2020)
Riccardo La Foresta – „Does the world need another drum solo?“ (Yerevan Tapes, 2019)
La nostra scelta non è convogliata su un singolo disco ma su tre. La motivazione di questa scelta sta nel voler in qualche modo dare continuità a quella che era la nostra programmazione imminente che è stata cancellata oppure rimandata a data da destinarsi per i motivi che ben sappiamo. Il primo è della musicista argentina Aylu si chiama Serum, uscito nel 2018 per Sun Ark, avrebbe tenuto da noi il suo primo concerto italiano. Il secondo è il nuovo disco da solista di Dean Roberts, „Not Fire“, appena uscito su Erstwhile Records, che torna dopo anni di silenzio e che avrebbe fatto da noi una presentazione ad hoc in anteprima. L’ultimo disco che segnaliamo è quello di Riccardo La Foresta „Does the World Need Another Drum Solo“, uscito poco meno di un anno fa per Yerevan Tapes che avremmo ospitato il 22 marzo con il suo solo.
TONI CUTRONE
Pure senza DalVerme e psichedelia, resta ancora una delle „eminenze occulte“ romane: con le mille vite de La Fine e con varie identità musicali più o meno nascoste, tra cui l’alter ego Mai Mai Mai, il noiser incappucciato con le origini nel centro del Mediterraneo e il vizio della techno, che ormai suona quasi più all’estero che in Italia (a cui si aggiungono Metro Crowd e Trouble VS Glue). Figura di riferimento per l’underground capitolino dell’ultimo decennio, tanto col DalVerme quanto con NO=FI Recordings, Toni Cutrone – come ci piace ancora chiamarlo – anticipa le tendenze. Una foto di oltre un anno fa è qui a testimoniarlo.
Lubomyr Melnyk – „Rivers And Streams“ (Erased Tapes Records, 2015)
Questo è uno dei dischi che ho ascoltato di più negli ultimi anni. Mi ero innamorato al primo ascolto e dopo aver visto Lubomyr in concerto e averci scambiato due chiacchiere, è stata un po‘ un’illuminazione: quando ti piace tantissimo la musica di qualcuno e quando conosci quel qualcuno, nei migliori casi davvero tutto quadra. Un personaggio che è stato rifiutato e rifiuta i giri più accademici e orchestrali: troppo poco ortodosso e con uno stile troppo personale, da lui chiamato „continuous music“. Considerato da molti uno dei più grandi pianisti viventi – ufficialmente il pianista più veloce al mondo: raggiunge fino a 19 note al secondo – ma totalmente escluso da quel giro musicale più „alto“, si muove nella scena indipendente sia per performance e concerti sia per pubblicazioni (questo album è uscito per Erased Tapes, ma ha tantissime uscite per micro label e dei quasi-bootleg autoprodotti che vende ai suoi concerti). „Rivers and Streams“ è un disco, a detta di Lubomyr, legato all’acqua: lo si può percepire già dal primo ascolto. E ascoltarlo ha sempre aiutato la mia mente a „scorrere“. Beh, ora che siamo in lockdown, credo davvero che „scorrere“ e fluire come l’acqua sia la cosa più importante da fare per tutti noi.
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