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Una cosa che mi manca: il bar tour nei Navigli

Si stava meglio quando si stava al bar

Written by Martina Di Iorio il 10 April 2020

Non sono mai stata una fanatica dei Navigli, allo stesso tempo non ho mai sbandierato un palese e arrogante stato di insofferenza verso questa zona. E come si potrebbe d’altronde. Questo stretto canale che ogni tanto ci confonde facendoci pensare di vedere il Nilo è parte di noi, più di quanto chiunque possa pensare. Perché appena ci si destreggia tra la folla, al suo ingresso, quella folla che prima si malediceva quasi si facesse parte di un’altra entità, i Navigli mostrano interamente quello che sono: la casa di tutti, democratici, aggreganti, a volte snervanti, pur sempre incredibili.

Sui Navigli si viene seguendo l’istinto, la sete, l’ormone, gli amici, il bartender.

Mi fermo a riflettere ora su tutte quelle volte in cui – arrivata alla stazione di Porta Genova – iniziavo a imprecare contro chi mi circondava. Troppa gente, troppa ressa, troppa folla, come se il diritto a divertirsi, a godere di quella schiera di cocktail bar fosse solo ad appannaggio mio, o di qualche altro eletto. Gli altri sono sempre fuori dal nostro raggio d’azione e di pensiero, mi disturbavano, mi annoiavano, mi intralciavano, in quella che era ed è ancora una delle attività che mi manca di più: il bar tour.

Una delicatissima processione pagana, un trascinarsi lento, a volte forsennato, in una religiosa Via Crucis tra le luci delle insegne del Naviglio Grande. Non c’è mai stata condizione atmosferica avversa, non c’è mai stato freddo nel cuore di chi, come me e altri argonauti della notte milanese, a fermare quella che è l’attività da segnalare su tutte le guide del globo. Ma a prescindere da ogni Lonely Planet, sui Navigli si viene seguendo l’istinto, la sete, l’ormone, gli amici, il bartender.

Passavo all’Elita a salutare i ragazzi dietro al bancone, mangiarmi due alici fritte al lime, il tempo di qualche figura di merda e andare oltre. Al Pinch sedersi al bancone è sempre stato sinonimo di confidenza con l’alcol: il Reverse Manhattan che mi facevano avrebbe curato gran parte dei mali del mondo. Di quello che conoscevo almeno. Scoprire le loro drink list un sollazzo da feticisti. Pochi passi a destra, quasi alle colonne d’Ercole dei Navigli, l’oracolo del sud: il Rita. Non ricordo una volta che sono uscita sobria, non ricordo una volta che sono uscita scontenta. Non ricordo in generale, se non grandi sorrisi, accoglienza e i drink più buoni di tutta Milano. Tornare indietro mai, se non per prendere la rincorsa e fermarsi al Mag, da Flavio: trovare un posto lì un’impresa giustificata dalla gratificazione del negroni più buono di sempre: quello del marinaio.
Poi c’è il Deus, una casa per me e altri viandanti notturni, così casa che non di rado ho dimenticato di tornare alla mia; l’Ugo, il mio “albergo” sul canale; il Twist on Classic di Federica e Matteo – oltre che due bartender impeccabili, due padroni di casa perfetti; il Morgante nascosto in una via sconosciuta ai più; e ancora il Backdoor43, l’Iter, il Banco e tutti gli altri

Ho perso il conto, il calcolo, ho la memoria a breve termine, sopita da questi giorni di clausura che mi danno però la lucidità di capire una cosa: si stava meglio quando si stava al bar.