Non mi piace usare la parola “energia”. In termini giornalistici può rivelarsi una trovata linguistica pigra, estremamente vaga: un modo per definire qualcosa che non abbiamo il giusto insieme di competenze per descrivere o che non comprendiamo appieno. Alewya è la mia eccezione a questa regola autoimposta. Fin dalla prima volta che ho ascoltato la sua musica e guardato i video dal vivo, mi sono trovato a pensare a lei in termini di questa “energia” indefinibile e accattivante. Voglio dire, come si può non farlo? La sua presenza è ipnotizzante anche se osservata su un piccolo schermo e la musica scorre con naturalezza nonostante al suo interno convivano elementi diversissimi fra loro: club ed elettronica, nu-jazz, soul, post-punk, elementi ancestrali e psichedelici – suoni digitali e acustici. Quindi sì, energia: intangibile e fluida, pronta ad adattarsi alle orecchie e all’anima degli ascoltatori come la forma di un liquido versato in un recipiente.

L’artista multidisciplinare londinese è ora pronta per la sua prima apparizione italiana, due anni dopo l’uscita del suo gran bell’EP di debutto – “Panther In Mode”. Canzoni fatte di un’oscurità piena di luce, con una qualità catartica preponderante. Catarsi è una parola che mi è venuta in mente spesso durante la nostra chiacchierata, una sensazione che fuoriusciva da ogni frase composta da Alewya, soprattutto mentre si parlava di famiglia, eredità culturale, arte. L’ho contattata da Roma a Londra (“qui si gela e piove. Avrò bisogno del sole quando sarò in Italia, ne abbiamo tutti bisogno”) e insieme abbiamo parlato di tutto ciò: dalla sua crescita in mezzo a culture diverse, all’importanza rivelatrice della musica nella sua vita.

GP: Direi di partire dall'inizio: dove sei nata, dove sei cresciuta?

A: Sono cresciuta a Londra ma sono nata in Arabia Saudita. Mi sento londinese, ma le mie radici affondano nella cultura etiope, sudanese ed egiziana. Ho anche vissuto vicino a molti eritrei, somali, marocchini. Insomma, persone Mediorientali e dell’Africa dell’Est. Per lo più sono sempre rimasta nella zona ovest di Londra, spostandomi in diversi posti. Sono un misto di tutto questo.

GP: C'è stato un momento preciso, rivelatore, in cui la musica è entrata nella tua vita?

A: Non credo. Penso che la musica circondi tutti fin dall’inizio. Immagino che poi la differenza la faccia il tipo di musica che stai digerendo e assorbendo mentre cresci. Per me inizialmente si è trattato di molta musica religiosa proveniente da entrambi i lati della mia famiglia. Poi crescendo in Inghilterra ovviamente si è circondati dalla musica pop, qualunque cosa sia popolare o che passi su Top Of The Tops [ndr. ride]: Justin Timberlake, Britney Spears, Destiny’s Child. Alla fine è un miscuglio tra il tempo in cui stai crescendo e la cultura in cui sei immerso. Non posso dire di avere avuto il controllo su ciò che ho assorbito crescendo.

GP: Ma c'è stato un genere o un artista che ti ha portato a pensare che la musica fosse quello che avresti fatto nella vita?

No, perché non sono cresciuta pensando alla musica in quel modo. L’ho scoperto molto più tardi nella vita, probabilmente intorno ai ventun anni. Prima di allora non avrei mai pensato di diventare un’artista di nessun tipo, semplicemente ascoltavo tanta musica e mi ci perdevo dentro. Sicuramente una figura che inconsciamente mi ha influenzato in quel modo è Lauryn Hill. Era una persona che ammiravo e mi piaceva molto la sua musica, in particolare come mi faceva sentire. Quindi sì, se dovessi scegliere un nome in particolare probabilmente è il suo.

GP: È interessante che tu abbia scoperto solo più tardi che la musica era una parte fondamentale della tua vita. Fino ad allora cosa hai fatto, o cosa pensavi di fare, qual era il tuo obiettivo?

A: Onestamente non ne avevo idea. Ero molto brava in matematica e pensavo che sarei andata all’università per studiarla, ma non sono riuscita a entrarci. Quindi ho lavorato in ristoranti e caffè senza grandi pensieri se non “questo è quello che sto facendo per ora, lasciamo che le cose si risolvano da sole”. Ad un certo punto sono stata licenziata dal supermercato in cui lavoravo e quello stesso giorno una persona mi ha chiesto di fare la comparsa nel suo film. Poco dopo ho incontrato qualcuno che mi ha detto “ehi, dovresti fare la modella”: da quel momento sono entrata in quel mondo. L’ho fatto per un po’ e poi è arrivata la musica. Sai, quando lavori come modella ci sono un sacco di tempo morti tra un lavoro e l’altro. Così ho iniziato a disegnare, dipingere, fare animazioni: la noia mi faceva fare delle cose. Tutto ciò è cresciuto in modo molto organico fin quando mi sono accorta che avevo talento. È successo tutto in modo molto naturale.

GP: A sentirti parlare l’impressione è che a un certo punto tu abbia iniziato a esprimerti, indipendentemente dai media attraverso cui lo facevi. Sembra quasi che tu non faccia differenza tra discipline, stai solo esprimendo chi sei.

A: Sì, al cento per cento, per me è tutto lo stesso. I miei dipinti, la mia musica, la poesia che scrivo – anche se quest’ultima è più una cosa per me e basta. Viene tutto dallo stesso posto, sono solo modi diversi per esplorare me stessa. Ho scoperto davvero molto su di me da quando ho iniziato a immergermi in questo processo creativo, per questo ne sono diventata ossessionata: in qualche modo sentivo di rivelarmi a me stessa. Spesso succede che mi chieda “perché stai disegnando proprio questa cosa, o scrivendo questo pezzo” e non riesco a spiegarmelo. Voglio solo esplorare e vedere tutto ciò evolversi. Sai quando è molto buio di notte, e all’improvviso compaiono tuoni o fulmini? Talvolta quando ciò accade riesci a vedere il cielo per un po’, e poi diventa di nuovo tutto nero. È proprio così che mi sento quando creo. Ogni volta che faccio qualcosa mi mostra un po’ di più su cosa c’è in questo mondo e poi si chiude di nuovo. Con il passare del tempo ne so sempre di più.

Interessante. Inoltre, questa metafora che usi è perfetta: fulmini e tuoni possono essere spaventosi. E immagino che anche esprimersi senza filtri mentre si cresce e si lavora su se stessi possa essere molto spaventoso.

Sì assolutamente, è così strano… in realtà no, non lo è, perché io credo in Dio. Non ne sono affatto spaventata. È la cosa più naturale per me. Quello che a volte mi rende un po’ nervosa è quando lascio entrare gli altri nel mio mondo. Per il resto non ho paura, sono più che altro travolta dalle emozioni che provo. Ogni artista sa quanto sia intimo quel processo e quando ci sei dentro pensi sempre che nessuno capirà nulla. Poi, quando ne esci, magari tutti si rispecchiano nel risultato, ma ti sembra comunque di essere sola nella tempesta. La paura non mi guida, ma sicuramente emerge ogni singola emozione dello spettro. Quando ho deciso “ok farò tutto ciò come si deve” non avevo paura: ero emozionata. Ma mentre sempre più persone erano sempre più coinvolte e mi guardavano, ascoltavano la mia musica, allora sì lì è diventato un po’ spaventoso, far entrare le persone nella mia vita. Immagino che quella parte lo sia, ma dovrò superarla a un certo punto.

Hai parlato di trovarti da sola nel mezzo di una tempesta. Mi viene naturale chiederti quindi quanto sia importante il concetto di comunità nella tua vita. E qual è la tua comunità.

È interessante, arrivati a questo punto la mia comunità è sicuramente costituita dai miei amici e dalla mia famiglia. Ma ho avuto difficoltà con quella parola, soprattutto in Occidente: essendo una persona che per natura può appartenere a molte comunità, ho scoperto che tutte hanno regole. A volte, per il tipo di persona che sono, ci potrebbe essere qualcosa in cui mi inserisco, ma poi farò fatica a inserirmi in qualcos’altro. Per questo motivo puoi finire per essere ostracizzato dalla tua comunità, puoi essere condannato per quello che sei. Questa è la storia di gran parte della mia vita, della relazione con tutte le comunità di cui ho fatto parte. Per un po’ mi ci è voluto il distacco da tutto e da tutti, infatti ad un certo punto mi sono trasferita a New York, lasciandomi tutto alle spalle. Avevo bisogno di capire chi ero ed è successo anche grazie alla musica. Ora mi rendo conto che faccio parte di tutte queste comunità ma non posso appartenere a una che si basa solo sull’identità. Non può essere solo “io sono di questo colore, di questa sessualità, di questa religione, questo o quello”. Deve essere come un villaggio, che ti capisce attraverso le tue difficoltà e peculiarità. Ecco perché la mia famiglia, i miei amici, le persone con cui lavoro, sono tutte persone che sono rimaste davvero con me, prendendosi il tempo per capirmi e guidarmi. Direi che questa è comunità, la mia comunità. Ma ho comunque un rapporto complesso con quella parola, ho le mie opinioni sul modo in cui le persone la usano oggigiorno. A volte sembra solo un sinonimo per “gang”.

Penso che questo si rifletta molto nella tua musica. Non voler essere racchiusi in qualcosa di specifico: ci puoi sentire la scena clubbing londinese, il nu-jazz, tutto. Non so se è una forzatura, ma forse possiamo dire che la tua musica è un'estensione di ciò che hai appena detto e questo ci porta ad un'altra domanda: in che modo il tuo ricco background culturale ha influenzato la tua musica? Posso immaginare che tu sia cresciuta ascoltando molti suoni diversi

Sicuramente ha avuto un impatto, ma non in modo consapevole. Qualunque cosa venga fuori, è ciò che ho permesso che accadesse. È solo quello che sono. Come ho detto, le emozioni e le influenze si riversano fuori da me nel modo in cui dipingo, canto, ciò che mi fa sentire a mio agio, ciò che mi commuove. Vado sempre verso quella sensazione ed è sempre un riflesso del mio background culturale . Ovviamente è molto presente, sono africana! Il nostro sangue è forte, la nostra storia è forte, uscirà sempre fuori in qualche modo

Alla luce di tutto questo: hai mai avuto difficoltà nel trovare la tua identità in ambito musicale?

No, non è una cosa che mi ha mai preoccupato. Lotto con il modo in cui il mondo mi impone di rivendicare una qualche forma di identità e attenermi alle regole di ciò che quella dovrebbe essere. Quello è il problema: specialmente nel 2023, tutti cercano di dirti chi sei.

Stiamo parlando da un punto di vista personale o musicale?

È un riflesso di entrambi, non riesco a dividere le due cose, la musica è un’estensione della mia anima. Semplicemente non mi interessa il concetto di identità, tanto non è mai quello che pensi che sia. Io oggi sono completamente diversa dalla me di cinque anni fa, e continuerà a succedere. Mi permetto di prendermi il tempo e scoprire le cose gradualmente. Tuttavia, per le persone che guardano da fuori, capisco che possano essere portati ad identificarmi con qualcosa. Lo capisco, lo faccio anche io nei confronti degli altri a volte.

Questo mi ricorda una cosa: leggendo un’intervista, ho scoperto che Grace Jones è uno dei tuoi idoli. Lei aveva proprio questa qualità di essere quasi super umana, non potevi davvero definirla o incasellarla in nessun modo.

Penso sia interessante che usi la parola “super umana”. Secondo me in realtà lei era molto umana. Ciò che la gente considera normale è l’opposto, non lo è, è incasinato, noi umani siamo incasinati [ndr. ride]. C’è un grande elemento di libertà nel trovare la tua vera essenza e seguirla. E questo non è disumano. Se torniamo indietro fino alle tribù antiche, o semplicemente a luoghi che non sono l’Occidente, usavano l’arte, l’espressione e la musica per entrare e uscire da realtà diverse. Alcuni indossavano maschere, altri si dipingevano il viso e facevano delle cerimonie specifiche. Tutto ciò risale all’alba dei tempi, quindi è davvero la cosa più umana che ci sia. Al giorno d’oggi le persone anche guardando me pensano che io stia facendo qualcosa di straordinario “il tuo messaggio è pazzesco, così spirituale e dadada”. Dico sempre: lo fai sembrare come qualcosa che è così lontana da te. Ma è invece una cosa normale, la mia vita è così ordinaria. Sono solo momenti di ispirazione e basta: poi passata quella catarsi poserò gli strumenti e andrò a cucinare o uscirò con i miei amici. Non è sovrumano, ma può sembrare così perché il resto del mondo non ha ancora accesso a quella parte di sé.

Già che siamo in tema di idoli musicali: cosa e chi stai ascoltando in questi giorni?

Parlando di Londra, Little Simz: incredibile, adoro lei e i suoi testi. C’è un ragazzo chiamato Fred Jones che amo, un rapper swahili chiamato Naito che è super figo. Sto ascoltando molto Cleo Sol. Onestamente i miei gusti vanno in tutte le direzioni [ndr. ride]

Beh, ascoltando la tua musica si può intuire!

Sì è vero. Un altro che ascolto molto è Robert Glasper, Mansur Brown. Inoltre c’è questo bellissimo gruppo chiamato Les Filles de Illighadad, le amo così tanto. Sai una cosa, ultimamente la mia mente vuole solo positività. Non in modo sdolcinato ma i paesaggi sonori e le sonorità che ascolto, voglio che mi elevino. Il mio EP aveva molti toni cupi, immagino che in quel momento avessi molta frustrazione da esprimere. In questo momento invece sono in un diverso stato mentale, più calmo, voglio sentirmi bene, equilibrata. Non più così tesa ed esagerata in qualunque emozione io provi. Voglio livellare un po’ tutto.

Stai scrivendo nuova musica in questa direzione?

Sì, ma non so davvero come spiegarlo, è ancora tutto molto espressione di me. È un’evoluzione, diciamo solo questo. Sono successe un sacco di cose, “Panther Mode” è uscito nel 2021 e sono cresciuta tanto. Quello che faccio ora è un’altra scoperta di come mi sento e dove sono adesso. Sembra decisamente un’evoluzione.

C'è stato qualcosa in questo viaggio che ti ha davvero sorpreso, un momento cruciale forse inaspettato?

Io amo la mia arte ma sono rimasta molto sorpresa da quanto risuonasse con le altre persone. Questo nonostante io non mi sia mai venduta granché, non abbia mai attuato nessuna strategia di marketing particolare. La musica si è diffusa senza che io mi sforzassi. Tutto ciò mi ha dato grande fiducia. È incredibile realizzare qualcosa di così personale e intimo, è il mio linguaggio, non l’ho mai fatto per ottenere qualcosa da nessuno. Avere persone che mi ascoltano, capiscono e si presentano agli show per me è commovente. Ho pianto durante il mio show da headliner a Londra, c’è stato un momento dopo aver eseguito “Spirit X” in cui tutti hanno applaudito per circa cinque minuti. Ho avuto questo momento di realizzazione del tipo “questa roba è assurda”. Fino a quel momento ero nella mia bolla, continuando a separare la persona e l’artista, quindi è stato bello vedere che sono riuscita a toccare le persone mentre proteggevo la mia energia personale.

Non pensi che questo si colleghi a quello che dicevamo prima? Voglio dire, quando qualcuno si presenta in modo sincero irradia un carisma naturale, le persone ne sono spesso attratte. Quella è stata anche la mia esperienza ascoltandoti per la prima volta, di trovarmi di fronte a qualcosa di unico

È vero, l’ho visto. Era un gruppo sincero di persone quello che è venuto al concerto che ti dicevo. Era così reale, non so come spiegarlo. C’era ogni tipo di persona a cui puoi pensare e tutti stavano vivendo il momento. Non c’erano quasi telefoni in vista! È stato pazzesco. Mi ha mostrato che sono sulla strada giusta. All’inizio ho sempre affrontato persone che non capivano cosa stavo facendo, anche perché in un certo senso era tutto molto amatoriale.

Vorrei citarti direttamente per un secondo. Uno dei miei versi preferiti fra gli altri è "deep is the plan in my DNA" - da "Ethiopia". È ovviamente molto rappresentativo di te e della tua musica, ma mi stavo chiedendo se puoi approfondire un po'.

Quella è stata una canzone importante per me e la mia famiglia (mia madre mi ha aiutato a scriverne il testo) e anche per il mio paese. Il DNA contiene così tanta memoria e informazioni e noi africani siamo qui dall’alba dei tempi. Come ho già detto, tutto ciò che faccio non è cosciente, è come se fossero dei ricordi che escono da me. A volte quando canto viaggio e arrivo a pensare: “non credo di aver vissuto questo ricordo” [ndr. ride]. Ma è così vivido. È quasi come quando le persone anziane hanno la demenza o l’alzheimer ma quando suonano una canzone iniziano a ricordare tutto. È simile a quello. Questa sensazione la evoca ogni tipo di musica africana, tutto ciò che è radicato e che va indietro nel tempo ha la capacità di ricordare alle persone cosa siamo come umani. Ho scritto “Ethiopia” poi sono andato in Francia e l’ho eseguita per un pubblico prevalentemente bianco: tutti cantavano il testo, anche le parole nella mia lingua madre. Quindi qualcosa risuona, attrae le persone. Questo è ciò che intendo con quel verso, qualcosa di molto reale. Il DNA è una vera chiavetta USB [ndr. ride] che contiene tante informazioni preziose.

Se non sbaglio questa sarà la prima volta che ti esibisci in Italia.

Sì assolutamente. Sono stata in Italia solo un’altra volta ma per un giorno, molto tempo fa. Sono super eccitata, anche per i panel e le talk del progetto, l’essere a contatto con persone illuminate. Voglio assorbire tutti i discorsi che ci saranno, avere esperienza di quello che sta succedendo lì. Non vedo l’ora.

Cosa possiamo aspettarci dal tuo show?

Oh, non aspettarti niente. [ndr. ride]

Ahaha lo so lo so era una domanda volutamente trabocchetto

L’ho colta in tempo! Non c’è niente da aspettarsi, vedrò come mi sento quel giorno [ndr. continua a ridere gioiosamente].