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The Virus Diaries – Nona parte

Un racconto della serie di ZERO 'Propagine. Storie del contagio'

Scritto da Marina Zucchelli il 9 aprile 2020
Aggiornato il 3 giugno 2020

Illustrazione di Roberto Alfano

 

SNACK

Nella casa che abitiamo nel contagio gli spazi vengono illuminati dagli schermi. Nella casa che abito io, ad aprile, le luci sono quelle di un mondo guarito, o che sta guarendo, non si capisce. È la Cina. Le persone fanno tai chi nel parco, distanziate. È un tipo di Asia mai vista. I capelli di Giovanna Botteri vaporosi, rassicuranti, mi fanno ben sperare. I suoi piccoli pendenti alle orecchie mi rilassano, e io immagino Pechino, Wuhan, Shangai, come prototipi delle vite che faremo noi. Quasi che mentre parla io non ascolto affatto quello che dice. Mi immagino la sua vita anzi, con quell’aria di chi è collegato sempre seguendo il fuso orario degli altri, confondendo continuamente il giorno e la notte, il buio e la luce. Ha l’aria di una che si è appena svegliata, che si collega da una camera da letto, e poi tornerà nel letto lì accanto, a dormire. Mi immagino che faccia tutto da sola: montare il cavalletto, mettersi il microfono, creare il collegamento, truccarsi un po’, scrivere i contenuti, parlare con la telecamera. È in una camera d’albergo? Esce? Porta dentro le cose da sola? Mi immagino un comodino pieno di libri e di snack, un compagno stabile e timido, in Italia, e anche loro come noi parlano dentro ad altri schermi luminosi. Perché la Botteri dice l’amore resiste, la Cina resiste mentre passano le immagini dei primi matrimoni in pandemia a Wuhan. Intanto io mi dico che no, ci sarà un operatore con lei, qualcuno che si occupi delle riprese, del montaggio.

C’è gente viva là fuori, che sta lavorando ancora, che sta vivendo, che entra ed esce dal mondo mineralizzato.

E più di tutti lei mi aiuta nel contagio, perché la Cina è il futuro prossimo che dovremo essere, e perché lei è quella vive già in un mondo fatto di sfondi artificiali.

LE COSE CHE PORTIAMO DENTRO – FERIA QUINTA IN COENA DOMINI

Mia madre continua a comprare una quantità enorme di cibo. Lei dice che è perché siamo tanti, e in effetti siamo cinque, più il bambino. Lunedì inizia la settimana santa, prevedo derrate eccezionali, e infatti mia madre si sveglia prima di me, e alle otto la trovo al tavolo di cucina a scrivere. Scrive una lunga lista della spesa, con la sua bella grafia di liceale, e divide la lista per gruppi, inizia ad organizzare le ordinazioni. Martedì è il giorno di Alberto della bottega. Viene a scaricare pacchi di pasta di sei varietà diverse, zucchero quattro chili, farina 2 pacchi da 5kg, e poi detersivi, candeggina, carta igienica. Scarica tutto dalla sua 127 gialla, poi prende i soldi che mia madre gli allunga e li mette in un borsellino che sembra un beauty case da uomo piuttosto consunto. Il beauty case è consunto, ma anche l’uomo. Alberto risale in macchina, rimette in moto, fa manovra sotto gli occhi del bambino affascinato dalla sua auto, e va via. Mia madre sistema gli approvvigionamenti.

Quante parole impariamo nel contagio! Le portiamo dentro. Approvvigionamenti, assembramenti.

Vedo mia madre soddisfatta della sua spesa, sistema in cucina le cose che vanno in cucina, in bagno le cose che vanno in bagno, e mi stupisco di come questi pacchi e scatole e bottiglie, queste cose, tutte queste cose siano adesso innocue, ora che sono dentro casa, ora che le abbiamo comprate, ora che sono nostre. Sullo scaffale del negozio erano potenzialmente infette, ma ora che sono qui, al sicuro, non fanno più paura. Al supermercato uso i guanti per prendere il vasetto di yogurt, ma qui in casa lo lecco sul bordo se fuoriesce un rivolo.
Mercoledì è il giorno di Stefania della Frutta e Verdura, che viene a scaricare frutta e verdura, giovedì mia madre sale in macchina e completa l’opera al supermercato, dove compra lievito in polvere e grano cotto per i dolci pasquali, marmellate, vino, mozzarelle. La quantità di cibo che c’è in casa giovedì sera è inquietante. Il frigo non ha uno spazio libero per appoggiare uno spicchio di limone, lo scaffale della pasta è stato riempito geometricamente, quello dei biscotti non si chiude bene per la quantità di scatole e sacchetti. Il giovedì santo, mi dico, la sera in cui Gesù cena coi suoi apostoli. Li invita dentro, a sedersi accanto a lui. Sono gli apostoli che scriveranno i vangeli, che opereranno il bene, Gesù se li porta dentro ma persino tra di loro c’è un infetto. La preparazione alla Pasqua, mi dico. Quella ebraica. Quella cristiana. La penitenza, o quantomeno, se non la penitenza almeno la parsimonia, magari la sobrietà. La pasqua, il passaggio, come dicono in molti in questi giorni in cui persino la religione viene fagocitata dal virus. Con tutte queste cose che portiamo dentro, come faremo a viverla?

The Virus Diaries: prima, seconda, terza, quarta, quinta, sesta, settima, ottava parte.