Cristina Bowerman nasce in Puglia, a dispetto di un cognome che potrebbe ricordare quello di governatrici austriache bacchettone. La rigidità infatti, non fa proprio per lei; che sia in cucina o nella vita, è sempre stata pronta a slanci ed aperture. Glass Hostaria, a Trastevere, è la sua creatura principale (l’altra è Romeo, a Prati) che, come ci spiega, di trasteverino ha poco o nulla. Per Taste of Roma ci lascia sulle spine e non ci dice cosa preparerà. Staremo a vedere.
Zero: Come ti chiami, dove e quando sei nata?
Cristina Bowerman: Cristina Bowerman, nata a Cerignola (Foggia), il 5 Ottobre ’66.
Hai un ricordo d’infanzia legato al cibo?
Ne ho mille di ricordi. Iniziano con la crema pasticcera di mio padre per passare alla passata di pomodoro di mia nonna e la pasta fresca di mia madre.
Quando e perché hai iniziato a cucinare?
Da donna del Sud, nasci che sai già cucinare! È una delle cose che impari quando sei ancora ragazzina. Credo che la prima volta che ho messo le mani in pasta sia stato intorno ai 4 anni. L’allontanarmi dalla cucina dunque non c’è mai stato. C’è stato, semmai, un ragionamento complesso e travagliato sul come trasformare questo lavoro in professione, passaggio fondamentale per me per un cambio di carriera.
Puoi presentarci il ristorante dove lavori?
Io, insieme a Fabio Spada e Silvia Sacerdoti, siamo proprietari di Glass Hostaria e Romeo. Io sono lo chef dei due ristoranti mentre loro si occupano di tutto il resto. Glass è un ristorante situato a Trastevere che però di Trastevere non ha assolutamente nulla. Oggi come oggi sarebbe davvero difficile immaginare Vicolo del Cinque senza Glass, ma 11 anni fa molti dei vicini ci avrebbero volentieri cacciato. Oggi invece si rassicurano periodicamente che non abbiamo intenzione di andar via. E io dico loro di stare tranquilli perché non succederà! Glass è un ristorante nato moderno, senza tovaglie, con un design di un architetto eccezionale (Andrea Lupacchini) e una cucina che complementa e sottolinea la differenza. Una cucina non estrema ma multiculturale, esattamente come mi ritengo io.
Hai già partecipato a Taste of Roma? Se sì, cosa ti piace? Se no, cosa ti ha spinto a partecipare?
Io sono tra i veterani di Taste of Roma, ho partecipato a tutte le edizioni. Mi piace il fatto di venire a contatto diretto, fisico con i miei clienti, l’aria di festa, il lavoro in un contesto differente con le sfide che presenta il dover cucinare in un luogo diverso dalla propria cucina.
Puoi consigliarci uno dei piatti che proporrai a Taste of Roma?
They are all my babies! Non riesco a consigliarne uno! Mi spiace.
Che bevanda consiglieresti per accompagnare i tuoi piatti?
Io direi Champagne o Riesling, stanno bene su tutto.
Cosa ti incuriosisce e mangeresti, oltre alle tue proposte, a Taste of Roma?
Tutte le altre! Non ho ancora letto quello che i miei colleghi prepareranno, ma generalmente cerco di assaggiare tutto. Non capita tutti i giorni di avere tutti i grandi chef riuniti in uno spazio definito.
C’è qualche produttore di cui non puoi fare a meno?
Il mio orto: Fattoria di Fiorano!
C’è un piatto che non toglieresti mai dal tuo menu?
Due: la tartare, arancia e wasabi e i raviolini di parmigiano liquido 60 mesi e, in stagione, tartufo bianco.
Un oggetto senza il quale non riusciresti a lavorare?
Microplane.
Qual è il piatto che in assoluto preferisci cucinare?
Grilling e bbq, qualsiasi cosa.
Quello che preferisci mangiare?
Pasta e piselli.
Qual è il piatto che prepari a casa per te stessa, per la tua famiglia o per gli amici?
Spaghetti con le vongole.
Tra i piatti della tradizione romana qual è il tuo preferito?
Cacio e pepe.
Un ristorante e un bar di Roma che ti piace frequentare?
Come ristorante l’Osteria Fernanda, dal mio amico Davide; come bar, che non è proprio un bar, ma si beve la migliore birra di Roma,bir&fud.
Un ristorante e un bar di Roma dove non sei mai stata e che vorresti provare?
La lista è lunghissima. Tra il lavoro e i viaggi per lavoro non si ha mai tempo di andare da nessuna parte. Ma direi che il ristorante in cui non ho mai cenato – e mi vergogno ad ammetterlo! – e che desidero di più è l’Imago, da Francesco Apreda.