La zona che va da piazza Fiume a viale Regina Margherita è piena di posti dove mangiare e bere. Ma tra tutti questi ce n’è uno che ha una particolarità ben precisa, capace di incuriosire e mobilitare gente da ogni parte di Roma. C’è un motivo se il kebab di via Valenziani è così buono e non riguarda tanto il modo in cui viene cucinato, quanto la sua composizione a base di manzo. Ci siamo fatti raccontare tutto, inclusa la distinzione tra döner e kebab, da uno dei soci fondatori, Paolo Fossi, parlando anche di comunità e gentrificazione.
Tra il “kebab più buono di Roma” e tutte le sfide perse dalla politica.
Come è nato Kebab?
Inizio sottolineando una cosa: anche se in molti vedono spesso solamente me, io non sono l’unico proprietario, ma uno dei soci. Nei primi anni Duemila andavo a mangiare il kebab alla moschea di Roma. Una volta, ogni venerdì, lì davanti c’era una specie di suk, una compravendita di prodotti arabi, inclusi cibi realizzati al momento. Il più bravo di tutti loro con il kebab si chiamava Tareq. Ai tempi avevo un altro ristorante a Pietralata, così gli chiesi di venire, un venerdì o un sabato, per provare a cucinare e servire il suo kebab. La cosa ebbe successo.
Questo è un kebab particolare quindi, vero?
Esatto. Non è il kebab che arriva congelato dalla Germania, ma lo facciamo noi. Iniziammo con il venerdì, poi anche il sabato, poi tre giorni a settimana, infine tutti i giorni. Nel frattempo aprimmo insieme – io, lui e altri due soci – questo locale in via Valenziani. E ha avuto molto successo. Questa è la nostra storia.
Da quanto è aperto Kebab?
Dal 2003.
Mi racconti bene la differenza tra il vostro kebab e quello che si trova in giro comunemente?
É semplice. Il 99% dei kebab che puoi trovare a Roma sono i cosiddetti döner kebab. Si tratta di un kebab che viene dalla Germania, anche se è un sistema turco, quindi con tutta probabilità è stato creato dalla comunità turca in Germania. Arriva congelato ed è composto sempre da tacchino e pollo. Non lo troverai mai di manzo perché costa troppo. Il nostro invece lo prepariamo noi. Quello di pollo è fatto esclusivamente con le sovracosce, senza pelle e senza ossa. Quello di manzo invece è composto da quello che a Roma viene chiamato scamone. Lo affettiamo, lo mariniamo con una nostra salsa, poi lo impiliamo nello spiedo e lo cuciniamo. Il martedì e il venerdì facciamo anche quello di pesce: siamo gli unici a Roma. Mentre gli altri giorni c’è il vegetariano.
Mi sembra quindi di capire che il kebab che servite non c’entra molto con la tradizione turca.
Esatto, non c’entra niente. Questo è il metodo egiziano. Quello turco gira sullo spiedo, quindi si cuoce solo con il fuoco che sta dietro allo spiedo. Il nostro invece fa una precottura sopra e c’è una piastra sotto che finisce di cuocere la carne una volta tagliata. L’altra differenza è che noi lo tagliamo a mano, mentre tutti gli altri lo tagliano con la macchinetta. Questo perché quando lo compongono ci buttano un po’ tutto e l’effetto finale è che la carne è tutta sbriciolata. Difficile trovare dei pezzi di una certa grandezza. Oltre al kebab abbiamo poi tanti altri piatti: felafel, cous cous, etc. Diciamo che la nostra è una cucina arabo-mediterranea, di stampo egiziano.
Esiste il vero kebab?
Il vero kebab in realtà sono degli spiedini di carne. Quello che facciamo noi si chiama shawarma. Se un arabo parla di kebab non si riferisce a quello che pensiamo noi italiani, bensì a uno spiedino di carne.
Ecco perché vicino casa mia c’è questo posto che si chiama Shawarma Station. Che tra l’altro è pure buono.
Sì, infatti, me lo dicono in molti. Spesso mi parlano anche di quello ad Arco di Travertino, ma sinceramente non so se usano il nostro stesso metodo. L’importante è che i nostri clienti dicono che questo è il migliore! Poi, ovviamente, è anche una questione di gusti.
Prima mi hai detto che sei proprio di questo quartiere. Cosa te ne pare?
Sì, sono nato in via Sistina e vivo ancora qui in zona, quindi lo conosco molto bene. Non mi piace.
Ahahahahaha! Ma come non ti piace?!
Dove sto io è terribile. È super radical chic. Troppo per i miei gusti. Il posto ovviamente è molto bello, pieno di verde, pieno di locali interessanti, però con le persone non mi trovo benissimo. Inoltre c’è un problema di parcheggi “endemico”.
A parte questo, hai assistito a qualche cambiamento negli ultimi anni?
Certo. Prima era un quartiere esclusivamente borghese. C’era davvero la gente benestante, nel bene e nel male. Ora le persone che ci vivono qui sono quelle che hanno ereditato casa, oppure quelle che hanno la fissazione del quartiere Trieste, unicamente per lo status che rappresenta. Poi ci sono diverse dimensioni: se prendi via Po e le strade limitrofe già è un altro mondo. C’è anche da dire che in questa zona le case sono molto grandi, la maggior parte è stata quindi riconvertita in B&B. Gli uffici sono mezzi vuoti per via dello smart working e gli affitti degli uffici stessi e delle case sono molto alti. Chiaramente non è una cosa che sta succedendo solo qui, anzi, in alcune zone in Europa si stanno attivando proprio per vietare questa dinamica.
Sì, infatti volevo dire proprio questo: sta accadendo ovunque.
Certo, però questo è un problema politico. La politica qui ha fallito. La politica ha fallito in tutte le grandi sfide. Secondo te quali sono state le grandi sfide che ha affrontato? Tu quanti anni hai?
Io sono del 1987.
Ecco. La prima grande sfida è stata l’Euro. Secondo te è stata vinta o persa?
Eh…
Non tanto per il progetto in sé, ma per come è stato gestito. È evidente che siamo tutti più poveri. Quindi è stata persa. L’altra grande sfida è stata la globalizzazione. Ci avevano detto che ci avremmo guadagnato tutti. Secondo te è stata vinta o è stata persa?
Eh…
L’altra sfida è stata l’immigrazione, e anche qui abbiamo assistito a scene pietose.
Eh sì.
Questa dei B&B è un’altra piccola sfida, che si unisce al problema dello spopolamento dei centri storici. Tu sei mai stato in America?
Purtroppo ancora no.
Be’, se tu vai nella downtown di una città media, a parte Manhattan, non trovi più nessuno in centro. Stanno tutti nei sobborghi.
Questo però non è necessariamente un problema.
In certi casi magari no, ma poi subentra il problema della gentrificazione, che sfascia anni e anni di comunità, legami e tradizioni. Insomma, non è detto che sia quella la strada da prendere, anche perchè spesso non c’è nessun progetto dietro.
Tornando alle persone. Ti sarà capitato qualche incontro strano fatto qui nel locale…
Strano nel senso di piacevole, pochi.