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Cristian Bugiada e Roberto Artusio

La Punta: una nuova e importante avventura nel mondo della miscelazione romana

Scritto da Nicola Gerundino il 6 luglio 2016
Aggiornato il 20 febbraio 2017

«La Punta potrebbe essere il nuovo la per Roma e la sua crescita – come lo è stato qualche anno fa per un certo tipo di miscelazione il Jerry – portando il focus sui singoli distillati. In futuro non avremo bisogno di altri 100 bar che proporranno distillati di agave, ma di altri 100 bar che svilupperanno un concetto, come abbiamo fatto noi con La Punta». Aprirà tra qualche settimana la nuova creatura firmata Cristian Bugiada e Roberto Artusio, nata da una passione comune per i distillati a base di agave e dall’incontro di due tra le realtà principali della miscelazione romana: Freni e Frizioni e Jerry Thomas. Dopo aver scoperto – grazie a questa intervista – il mondo che c’è dietro la distillazione del tequila e soprattutto del mezcal; dopo aver capito quanto lunga, profonda e vissuta sia stata la ricerca sul campo in Messico e come questa verrà riproposta nel locale di prossima apertura, possiamo dire che sì, la miscelazione 2.0 a Roma partirà da qui.

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ZERO: Partiamo dal nome che avete scelto, La Punta.
Cristian Bugiada, Roberto Artusio: Forse sarebbe meglio partire prima dell’idea, perché il nome è conseguente. La Punta è un progetto molto articolato e nasce da una serie di viaggi fatti da noi due in Messico, a partire dalla passione comune per i distillati di agave: il tequila e il mezcal. Poi, viaggiando, ne abbiamo scoperti tanti altri distillati, come il bacanora e il raicilla.

Era la prima volta che andavate in Messico?
Sì. Facendo un passo indietro, dopo aver fatto diversi seminari al Jerry Thomas e al Freni e Frizioni su questi distillati, ci siamo resi conti che ci mancava l’esperienza sul campo. Quindi abbiamo messo lo zaino in spalla e siamo andati direttamente in Messico. Lì abbiamo stretto e rafforzato amicizie, a partire, ma non solo, dai produttori di distillati di agave. Ci siamo accorti abbastanza in fretta di quanta cultura ci fosse dietro questo mondo, arrivando a passare anche cinque mesi in Messico. Questo ci ha dato la possibilità di conoscere tutti i vari aspetti: quelli commerciali, quelli selvaggi e anche quelli segreti, quelli che non si possono raccontare, ma che sono fondamentali per viaggiare e arrivare in determinate località. Abbiamo scoperto anche la storia del Messico, non quella letta sui libri, ma la storia com’è stata vissuta e tramandata dalla popolazione e quando ora ci capita di parlarne riusciamo ad avere una visione molto più completa, unendo molti dei dettagli appressi a quello che il racconto normalmente conosciuto. Abbiamo scoperto un lingua. Ci siamo rapportati anche a comunità indigene, che parlano ancora la lingua zapoteca e non lo spagnolo. In alcune zone c’è una resistenza culturale fortissima, che tiene in vita molte tradizioni, importantissime per la popolazione. Nel primo viaggio siamo partiti dalla zona di Tequila per poi arrivare in Oaxaca, in una parte più selvaggia, sulle montagne: e lì che nasce il nome.

L'entroterra della regione di Oaxaca.
L’entroterra della regione di Oaxaca.

Eravamo in viaggio nel retro di un pick up, proprio come succede ai messicani, e stavamo bevendo “puntas”: è la parte iniziale della distillazione, la testa, ma al posto di chiamarla “cabeza” la chiamano “puntas”, l’inizio. Abbiamo pensato che puntas fosse facilmente traducibile e avesse anche molti altri significati: l’inizio del nostro viaggio in Messico, la punta come appuntamento – come si dice qua a Roma. Pensiamo anche che sarà la testa, il primo progetto in Italia con un focus su un distillato e una cultura a 360°. Ad esempio, anche per la parte culinaria noi andremo molto sull’“estremo”, non come nei normali tex-mex dove poi trovi birra e vino, cioè cose che sono vicine alla nostra di cultura. Non ci sarà il vino, ma ci sarà la birra Michelada, come la fanno loro. La birra miscelata è un drink da cantina messicana, spesso con lime e una crusta di sale: il lime è rinfrescante e il sale serve a mantenere i liquidi nel corpo. C’è anche il ghiaccio nella birra, perché di norma viene servita e mantenuta freddissima.

La Michelada
La Michelada

Che zone avete visto?
Ne abbiamo viste molte. All’inizio siamo andati in Jalisco, dove c’è principalmente produzione di tequila, e in Oaxaca, dove invece si produce di più il mezcal. Poi ci siamo avventurati in altre regioni, dove abbiamo scoperto altre coltivazioni e tantissime altre realtà legate alla distillazione. Siamo andati nel Nord, nella zona di Durango, che sembra il vecchio west dei film. Durango, infatti, è la Hollywood dei western, con paesaggi desertici e polverosi. E la cosa bella era girare proprio come si vedeva al cinema, a cavallo, andando alla scoperta delle coltivazioni, con tutti i pericoli del caso, come gli scorpioni. Lì è normale girare con l’antidoto per il veleno degli scorpioni nella borsa. Avevamo paura anche della pianta d’origano, che dicevano fosse il nascondiglio prediletto dei serpenti a sonagli. Siamo andati anche in Nayarit, dove fanno sia tequila che raicilla. Con una certa incoscienza abbiamo azzardato anche dei passaggi in Michoacán e Guerrero. Lì si incontra la morte per strada: è il brutto e il bello del Messico.

Coltivazioni di agave nella zona di Jalisco.
Coltivazioni di agave nella zona di Jalisco.

È stato molto interessante vedere le trasformazioni in poco tempo di Oaxaca: da città con strade sterrate a città turistica con un grande potenziale. Prima ci volevano sei ore per fare 200km e andare dal mare alla città, ora stanno facendo l’autopista, l’autostrada, e ce ne vorranno molte di meno. Sicuramente l’attenzione che c’è stata a livello mondiale nei confronti della produzione artigianale del mezcal ha dato un forte impulso al rilancio di questa regione. Siamo stati anche nella zona di Puebla, dove abbiamo scoperto tante tradizioni molto radicate: quella del mezcal, della ceramiche e della cucina. Lì si mangia tanto il mole poblano, una salsa molto difficile da riprodurre, fatta pestando tantissime spezie e altre materie prime. Ne abbiamo voluto proporre una nostra versione e così abbiamo portato lì la nostra chef, Sarah Bugiada, per farle assaggiare il vero mole e tantissime altre cose: la barbacoa, la capra cucinata sotto terra, i tacos, sia quelli preparati in strada, sia quelli cucinati in ristorante più raffinati, realizzati con materie prime diverse e di qualità più alta. Cercheremo di riproporre tante delle cose assaggiate con un approccio gourmet e per fare questo è stato fondamentale avere lì con noi la nostra chef: non è detto che in una nazione si mangi bene ovunque, quindi è importante riuscire a capire dove c’è della qualità e riproporre solo quel tipo di gastronomia. Stringendo contatti con chi esporta il mezcal siamo riusciti anche a trovare esportatori di materie prime, alcuni prodotti sono impossibili da far arrivare qui, ma per fortuna non sono quelli fondamentali.

Gli ingredienti del mole poblano.
Gli ingredienti del mole poblano.

Quanto è industrializzata la produzione di questi distillati?
Quella del mezcal a oggi è molto più bassa rispetto a quella del tequila, principalmente a causa di una forte resistenza culturale delle popolazioni che lo producono. La zona del tequila ha subito una modernizzazione tanti anni fa: già dalla Rivoluzione Industriale avevano percepito che potevano applicare l’innovazione tecnologica alla distillazione. Il Jalisco (la zona del tequila, nda) è verso Nord, molto più vicino al confine con gli States quindi, ed ha territori molto più accessibili. Quindi il processo di produzione del tequila è stato reso più semplice dalla tecnologia, pur mantenendo dei dettagli tradizionali.

Nella regione di Oaxaca, come dicevamo, per fare 200km ci metti sei ore. Per andare a visitare un produttore di mezcal ci metti un ora e mezza di strada e quattro di sterrato. Quando abbiamo deciso di partire tutti i nostri soci ci dicevano che saremmo andati in vacanza, in realtà non ci siamo alzati mai così presto come in Messico. La sveglia era alle sei per fare 4-5 ore di macchina e raggiungere un posto nella montagna a una determinata ora così da non avere problemi al ritorno, perché non puoi viaggiare di notte così facilmente, sia perché le strade sono sterrate e buie, senza illuminazione, sia per motivi di sicurezza. Sono strade che fanno il giro della montagna senza nessuna protezione sul ciglio. In spiaggia ci siamo stati 5 giorni in 5 mesi, per dire.

Raccolta dell agave tra i monti isolati dell'Oaxaca.
Raccolta dell agave tra i monti isolati dell’Oaxaca.

Chi coltiva l’agave è anche chi produce mezcal?
Dipende dove vai. Nel mondo del tequila i proprietari dell’etichetta sono anche proprietari del terreno e quindi seguono la coltivazione della pianta. In quello del mezcal in alcuni casi sì, in altri no, c’è una filiera più “rigida”: c’è il contadino e il produttore che compra l’agave dal contadino. Un dettaglio divertente è che l’unità di misura una volta era il “burro”, l’asino. Si calcolava il carico massimo che un asino poteva portare.

Trasporto dell'agave via asino.
Trasporto dell’agave via asino.

Avete assistito alla distillazione del mezcal?
Assolutamente sì, più e più volte. È stato il nostro passatempo preferito!

Il momento della distillazione finale dell'agave.
Il momento della distillazione finale dell’agave.

Quanto ci vuole per produrlo?
È una domanda che fanno in molti. Dipende da tantissimi fattori: dal clima, da come sono organizzate le palenque, le distillerie – si chiamano così in Oaxaca, in Jalisco le chiamano vinata. Ci vuole tantissimo tempo per la maturazione della pianta, si va dai sette anni dell’espadin, fino ai 35-40 del tepeztate. Una volta un produttore ci ha detto che per distillare l’agave ci vuole l’arte della pazienza.

Una pianta di tepeztate.
Una pianta di tepeztate.

Quindi la pianta può essere utilizzata per la distillazione una volta sola?
Sì.

I terreni vengono coltivati facendo la rotazione?
Sì, abbinano l’agave ai legumi in modo da fissare l’azoto nel terreno. Poi c’è la macinazione manuale, la taona, fatta utilizzando degli animali, proprio perché in alcune zone è veramente impossibile fare arrivare la tecnologia. C’è il passaggio della cottura, che nel mondo del mezcal viene fatto a terra e anche qui i tempi variano: se viene fatta in un periodo piovoso ci vogliono dei giorni in più. C’è il periodo della fermentazione spontanea, che dipende ancora una volta dal clima. È tutto variabile ed è proprio questa variabilità che è parte integrante della magia del mezcal: a seconda di dove vai trovi un sapore diverso in cui influiscono tantissimi fattori: è una ricerca praticamente eterna. Uno stesso produttore fa sempre mezcal diversi, la sua firma sta nella tradizione, nel sapere che ha appreso dai genitori o dai nonni.

La macinazione dell agave.
La macinazione dell agave.

C’è solo agave nella distillazione del mezcal o si aggiungono altre piante?
Solo agave. Ci sono delle terze distillazioni che si chiamano pechuga (petto) che hanno un alto valore spirituale. In queste si utilizzano spezie o frutti di stagione, dei petti di pollo o di tacchino, pezzi di iguana o cervo, ma sono prodotti che si utilizzano solo in cerimonie particolari. La base alcolica è sempre e solo agave.

Immagino già la risposta, ma vi chiedo comunque se c’è una differenza tra un prodotto assaggiato qui e un mezcal bevuto direttamente in Messico.
Sì, assolutamente. Infatti, quello che vorremmo ottenere con La Punta è far vivere un’esperienza, ricreare un atmosfera che va anche ad influire sulla percezione dei sapori.

Prima mi parlavate della birra con la crusta di sale. Oltre a quella avete trovato altre miscelazioni sconosciute?
Innanzitutto possiamo sfatare il mito del Margarita: è un cocktail che bevono e chiedono solo i turisti. A meno che non si tratti di un bar di nuova concezione, dove preparano Margarita con un twist o con ingredienti speciali. Noi comunque lo proporremo in una nostra versione, perché è importante avere un punto di contatto conosciuto che possa poi portare i clienti a sperimentare cose nuove. C’è la Michelada; abbiamo provato il Batanga, che è tequila con Coca-Cola e lime, servita in un bicchiere bordato di sale. Si beve in un bar che si chiama la Capilla, il cui proprietario è Don Javier, un signore di 90 anni che ha fatto al massimo un viaggio di 30 km fuori dalla città, ma tutto il mondo va a bere il Batanga da lui. È proprio il bar di un film: con il ventilatore, la tv con le telenovelas e il drink miscelato con il coltello.

Poi c’è la Paloma, un drink fatto con una bibita sodata al pompelmo, miscelata con raicilla o mezcal. Spesso i produttori ti accolgono con un bicchiere di soda al pompelmo e il loro distillato. È paragonabile a una bevanda come il Mezzo e mezzo in Italia. Sono cose semplicissime, ma che fanno parte della vera tradizione del bar. Noi proporremo un percorso all’interno de La Punta in cui riproporre tutto questo mondo. Sarà molto più di quello che si aspetta la gente. Ci sarà un bar e un ristorante dove mangiare gourmet, ci sarà una finestra dove si potranno prendere cocktail take away e tacos. Una parte più “underground”, con una miscelazione più complessa, e quella che chiamiamo La Cava, dove si arriverà a degustare i prodotti più “estremi”, anche non miscelati, con l’obiettivo di capire l’essenza del distillato, la firma del mastro mezcalero di cui parlavamo prima. Poi ci saranno tantissimi altri twist che utilizzeranno mezcal e tequila, come già avviene da Freni e Frizioni o da Jerry Thomas – dove, ad esempio, c’è già il Mex-Man, un twist del Manhattan. Tra l’altro, abbiamo portato in giro in molte città un seminario che si chiama “Non solo Margarita”, dove raccontiamo di tanti cocktail poco conosciuti in cui sono presenti questi distillati e dei grandi barman che li hanno utilizzati. Dobbiamo recuperare tutte quelle persone che a 14 e 15 anni hanno avuto la loro prima sbronza con una tequila a basso costo e ci hanno messo una pietra sopra!
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I twist saranno un ponte importante per far entrare nel mondo di questi distillati. Ci saranno abbinamenti tra cocktail e cibo e tra cibo e distillati singoli, nonché dei percorsi degustativi. Abbiamo pensato anche al dopo pasto: la gente consumerà una bevanda della cantina, mangerà un piatto della tradizione messicana, berrà un cocktail sperimentale o un distillato pazzesco, poi potrà anche prendere un caffè o un gelato altrettanto particolare. Ci stiamo facendo aiutare da due realtà molto importanti: Mara dei Boschi, una gelateria di Torino, e Orso, un laboratorio di ricerca dedicato al caffè, sempre di Torino, che ci ha consegnato parte del suo sapere, ad esempio suggerendoci delle miscele con chicchi del Chiapas.

Sarete a Trastevere, giusto?
Sì, in via di Santa Cecilia, 8. La zona meno battuta di Trastevere, visto che La Punta sarà tutto tranne che un locale commerciale: punteremo davvero molto sulla qualità. Crediamo molto in questo distillato e crediamo che il suo consumo possa crescere molto qui in Italia perché alla base c’è la stessa modalità di degustazione del vino. Ovviamente parliamo di due prodotti totalmente diversi al palato, ma la loro chiave di lettura è la stessa. Basta pensare al terroir, all’importanza del terreno per il sapore della pianta o del frutto. Quello che ci piace raccontare sempre è che i due elementi più importanti del mezcal sono il terroir, come per i vini, e il tempo, come per il whisky: i 35 anni che ci vogliono per far crescere alcune piante per noi sono come i 35 anni di invecchiamento in botte. Infine, il progetto La Punta ci vedrà diventare imbottigliatori e importatori di mezcal: stiamo selezionando delle produzioni da 80 litri da importare, non tanto per fare una linea, ma per fare assaggiare al meglio la nostra esperienza. E anche per sviluppare una dimensione umana e sociale, a cui teniamo molto, con una parte del ricavato che verrà riportata indietro in Messico per aiutare i produttori nel loro lavoro e la loro famiglia. Non vogliamo né snaturare l’artigianalità dei prodotti, né contribuire alla “spettacolarizzazione” del mezcal, perché legato a situazioni estreme. Noi vogliamo valorizzare il prodotto e la sua lavorazione. Organizzeremo anche dei tour in Messico per far conoscere dal vivo la distillazione dell’agave.
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Come ultima cosa, ci teniamo a sottolineare che questo progetto non sarebbe potuto nascere senza il sostegno dei nostri soci: Luca Conzato e Stefano Angelini di Freni e Frizioni, Antonio Parlapiano, Alessandro Procoli e Leonardo Leuci del Jerry Thomas. Ci hanno aiutato nella logistica e in tutti gli aspetti del progetto. Se due anni e mezzo fa siamo diventati dei pionieri lo dobbiamo anche a loro. È stato un vero lavoro di squadra che ha unito queste due società.