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Tapistelar

Un filo di agave tra la Colombia e il Quartiere MACRO

quartiere MACRO

Scritto da Riccardo Papacci il 17 giugno 2022

foto di Guido Gazzilli

Luogo di residenza

Roma

Dopo aver vissuto a Bogotà e aver lavorato per una ONG, Giovina Carabba ha deciso di portare a Roma tutte le sue esperienze fondando Tapistelar, uno studio tessile che produce tappeti realizzati esclusivamente da artigiani colombiani e con materiali provenienti da quelle terre, che una volta lavorati diventano particolarmente pregiati e adattabili a ogni tipo di idea. In via Nizza c’è il loro showroom: un portale che ha la capacità di trasportare chi entra direttamente in Colombia.

“I nostri tappeti piacciono molto rispetto agli altri anche perché possono essere fatti su misura, del colore e con il disegno che si vuole.”

Come hai avviato la tua attività?

Tutto è iniziato quando sono andata in vacanza in Colombia nel 2017. Dovevo fare un anno sabbatico in giro per il mondo, invece ho deciso di restare a Bogotà. Dopo un anno e mezzo ho conosciuto Santiago Hoyos, che poi è diventato il mio socio. Lì lavoravo per una ONG che sviluppava cooperative tra ex-guerriglieri e desplazados, ovvero tutte quelle persone che sono state obbligate a lasciare le loro case. Gli artigiani li ho conosciuti così. Una volta terminata l’esperienza con la ONG ho pensato di continuare a lavorare in Colombia, provando a fare qualcosa di utile.

Quanto tempo sei stata in Colombia?

Quattro anni. All’inizio abbiamo cominciato la nostra attività a Bogotà, però poi è arrivato il Covid e abbiamo pensato di tornare a Roma – da un certo punto di vista la pandemia è stata utile. Nel frattempo abbiamo iniziato a vendere i nostri tappeti anche in Europa e negli Stati Uniti.

Tutti i materiali di Tapistelar provengono dalla Colombia quindi?

Sì, sono tutti fatti dalla nostra impresa che si trova tra Bogotà e Santander, un posto nelle Ande dove si produce la fibra di agave che è alla base dei tappeti. Per intenderci, è quella usata per i sacchi di caffè. È molto grezza, noi la raffiniamo e la pettiniamo per ammorbidirla, separiamo le fibre lunghe dalle corte, coloriamo con colori naturali, cuociamo il materiale. Insomma, tutte le cose che si possono fare per aumentare il più possibile la qualità del tessuto. Poi, con quei fili lì e con telai manuali, gli artigiani di Bogotà fanno il tappeto.

Per quale motivo i vostri tappeti si differenziano dagli altri?

Secondo me perché sono caratterizzati da un mix che non c’è sul mercato: è un prodotto di alta qualità, che va bene per delle case adulte, ma allo stesso tempo lascia percepire anche una sensazione più naturale. Non è la stuoia che ti dura un anno, né il tappeto troppo sfarzoso. È un “in between” che funziona molto, ovviamente per un target preciso di gusto e di persone. I nostri tappeti piacciono molto rispetto agli altri anche perché possono essere fatti su misura, del colore e con il disegno che si vuole. Viaggiamo di città in città e facciamo vedere agli architetti delle opzioni, poi loro, a seconda del progetto, ci dicono come vogliono farli. Questo dà ancora più valore al loro lavoro perché riescono ad apportare in pieno il loro contributo al progetto complessivo. Facciamo tappeti molto vari, con stili e per gusti diversi.

La cosa più assurda che ti è capitata da questo punto di vista?

Un designer di Londra voleva che nello stesso tappeto ci fossero disegni diversi con diversi colori…

Delicatissimo!

Sì, esatto. Però è anche vero che sono proprio queste richieste a farci uscire dai nostri canoni e ci spingono a esplorare per capire cosa si può fare e cosa non si può fare. Ovviamente anche noi impariamo facendo. Anche gli artigiani stessi, che invece tendono a voler fare cose più “ordinarie” rispetto alle nostre richieste. Spesso si rendono conto che il risultato può rivelarsi inaspettatamente bello e interessante.

A Roma avete uno spazio?

Abbiamo uno showroom a via Nizza, aperto su appuntamento. I clienti vengono e vedono tutti i campioni e anche degli esempi di tappeti completi. A dire la verità però, la maggior parte dei pezzi li vendiamo da Milano in su, ci contattano tramite Instagram e mail. Nonostante questo, cerco di viaggiare il più possibile e di andare almeno una volta ogni due mesi a Milano, Berlino, Monaco, Parigi: parlare e mostrare i prodotti di persona fa la differenza.

Quindi vai proprio con la valigetta?

Sì, esatto, vado proprio come una venditrice di tappeti!

Immagino che vai spesso anche in Colombia.

Sì, certo. Vado sempre uno o due mesi l’anno. Tutti gli artigiani sono lì ed è bene confrontarsi anche di persona, quando si può. Senza considerare che in ogni viaggio c’è la possibilità di inventare nuove cose, rinnovare e migliorare, per cui bisogna starci.

Invece cosa ci dici di questo quartiere?

Io amo questo quartiere!

Bene. Tu sei nata proprio qui?

Sono nata a Roma, ma ho vissuto i primi sei anni della mia vita in un’altra zona. Siamo venuti qua perché il mio trisnonno ha costruito il grande edificio per gli operai della birra Peroni. In generale, tutta questa zona è stata fatta per la Peroni.

Ah, vedi…

Eh sì, prima qui non c’era niente. C’era Villa Albani e tutto intorno campagna. Via Nizza era un ruscello che si buttava nel fosso di Sant’Agnese, l’attuale corso Trieste. Poi si è formato uno stradello che fino al 1911 si è chiamato vicolo della Fontana, che comprendeva le attuali Via Nizza, Via Dalmazia e Via della Fontana. Il mio trisnonno e una serie di altre persone investirono su questa campagna per costruire l’Unità d’Italia.

Parliamo degli anni prima della Grande Guerra quindi?

Sì, l’edificio lo finirono nel 1889. Come ti dicevo, amo questo quartiere, anche perché secondo me è un mix perfetto tra le zone più “fighette” e quelle più tranquille, in cui trovi tutto quello che ti serve. Infatti da piccola mi prendevano in giro perché dicevo “sotto casa mia c’è tutto!”. Tutti i miei amici che sono venuti dall’estero si sono innamorati di questa zona. Tra l’altro, quando ero piccola per uscire bisognava andare in centro, invece adesso c’è anche molta vita.

Infatti, parlami di cosa è cambiato.

Il quartiere è cambiato moltissimo. Anche nel genere di persone. Oggi è pieno studenti universitari, giovani famiglie e impiegati, infatti durante il weekend è diverso. Quando ero piccola c’erano tutti vecchietti nati proprio qui.