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Tomasz Kireńczuk racconta Santarcangelo Festival 2022

Scritto da Salvatore Papa il 4 luglio 2022
Aggiornato il 5 luglio 2022

Dall’8 al 17 luglio 2022 torna Santarcangelo Festival, che quest’anno (e fino al 2024) ha un nuovo direttore artistico: Tomasz Kireńczuk. Can you feel your own voice è il titolo che ha scelto per la 52esima edizione, ” un invito ad ascoltare la nostra voce più intima e profonda, per continuare a chiederci: chi siamo, cosa pensiamo, quali sono i nostri valori non negoziabili, che cosa intendiamo spartire?”

“Lo stare insieme, – scrive – lo scambio di energie, la condivisione delle forze e delle proprie debolezze: questo è il Festival che stiamo immaginando. La nostra speranza è che potremo uscirne più sicure e sicuri. Sapere, insieme esperienza dopo esperienza, di avere il diritto di parlare ad alta voce, che tutto quello che vorremo condividere conta”.

Ecco cosa ci ha raccontato.

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Partiamo subito dalla tua prima edizione di Santarcangelo Festival, la prima del post pandemia. Una bella responsabilità…

Sì, è una responsabilità importante e riguarda principalmente la voglia o meglio la necessità del pubblico di tornare a incontrarsi e a incontrare le artiste e gli artisti senza limitazioni. La responsabilità riguarda anche il festival di per sé, la sua importante eredità ma anche la sua capacità di rinnovarsi continuamente (caratteristica che mi piace moltissimo): va da sé che quando ti viene lasciata un’ampia libertà di immaginazione, anche la responsabilità si fa più pesante.

Sono tante le battaglie del presente e un festival non può chiaramente rappresentarle tutte con la stessa intensità. Ti chiedo quindi, quale il messaggio che emerge con più forza dal programma di quest’anno?

Il tema della diversità è molto presente in tutto il festival, in particolare la necessità di accettarla e di smettere di limitare la libertà delle persone che non fanno parte della maggioranza, che peraltro è un concetto creato da noi per cercare di delimitare la società entro determinati confini. La diversità costituisce la forza di questo festival, è necessaria per confrontare le diverse prospettive, non per arrivare a un accordo univoco (che sarebbe impossibile) ma per affermare il diritto ad essere diverse e diversi e a vivere la nostra vita di conseguenza.

Qual è secondo te il ruolo della direzione artistica?

La direzione artistica deve in primo luogo creare spazi sicuri: per le artiste e gli artisti, in modo che possano sentirsi a proprio agio nel condividere pratiche, processi e percorsi; ma anche per il pubblico che voglia confrontarsi con realtà sconosciute. A livello curatoriale, il direttore artistico deve accogliere le intuizioni e le necessità artistiche e costruire un percorso in cui ogni singola proposta funzioni bene con la successiva. Oltre ad artiste e artisti che seguo da anni, mi piace sempre conoscere nuove realtà senza pormi alcun limite. Ad esempio, Can you feel your own voice, il claim di questa edizione, è arrivato per ultimo perché non mi interessava partire da un’idea predefinita, al contrario è servito per creare una cornice che aiutasse a vedere il festival come una narrazione complessiva.

Fare delle scelte significa comunque prendere posizione e la posizione del festival è anche una posizione politica, quindi la tua posizione politica. Cosa ne pensi?

Sono d’accordo, la mia posizione politica in questo festival è chiarissima. Non bisogna dimenticare che creare un festival è un privilegio rarissimo, perché permette di stimolare un confronto pubblico su valori importanti, all’interno di un’arena politica dove artiste e artisti possono condividere le proprie posizioni con le persone. La mia posizione politica – femminista, antirazzista e di supporto alle comunità LGBTQIA+ – si evince dal programma, sento molto vicini tutti i lavori che presentiamo.

La tavola rotonda pensata per la piazza sarà uno dei simboli di quest’edizione ed è legata alla tua storia personale. Ci racconti com’è nata l’idea e come ti aspetti venga utilizzata?

La questione di piazza Ganganelli, vero cuore della città, è cruciale per il festival e per la sua relazione con la cittadinanza. L’idea è nata da Salvo Di Martina, il nostro direttore tecnico, che mi ha suggerito che per far funzionare bene la piazza dovevamo pensare a un elemento installativo che diventasse il simbolo del festival. Partendo da questo ragionamento mi è venuta in mente la tavola rotonda attorno a cui, nel 1989 in Polonia, alle soglie del crollo del regima comunista, si erano riuniti rappresentanti e oppositori: una negoziazione durata oltre tre mesi che ha permesso la transizione verso la democrazia scongiurando il rischio di una guerra civile. La tavola rotonda è un oggetto che rappresenta la condivisione, la diversità, e attorno al quale si realizzeranno diverse attività artistiche ma anche cittadine, come la cena di beneficienza per l’Ucraina prevista per il 13 luglio e promossa dalla comunità santarcangiolese. Ma immagino che la tavola avrà anche una sua vita propria che al momento noi non possiamo prevedere.

Hai visitato molti festival, ma qual è secondo te la caratteristica unica di Santarcangelo?

È una domanda difficile perché sono tante le caratteristiche uniche di Santarcangelo: in primis il suo interesse verso l’arte sperimentale, politica, l’impegno sociale e le realtà emergenti. È il luogo perfetto dove le artiste e gli artisti possono sperimentare il loro linguaggio. Inoltre, la modalità con cui si svolge il festival, in 10 giorni in un piccolo borgo medievale, permette al pubblico di incontrarsi senza darsi appuntamento, in un’atmosfera di festa condivisa molto rara e una programmazione artistica molto variegata, anche notturna con il ritorno (dopo due anni) di IMBOSCO, il noto dopo-festival di Santarcangelo.

Una delle lamentele più comuni è che gli eventi in piazza e quelli gratuiti sono sempre meno. Come si tiene l’equilibrio tra un festival che mette al centro lo spazio pubblico e la condivisione e il suo programma che non può accogliere davvero tutte e tutti?

Facendo un calcolo, abbiamo quasi 50 attività gratuite su un totale di 170, dunque rappresentano una buona percentuale. A Santarcangelo gli spazi dedicati allo spettacolo sono pochi dunque vanno costruiti e di conseguenza non possono avere una grande capienza (e dunque accessibilità) ma a questo si aggiunge il fatto che molte artisti e artisti abbiano ideato i loro lavori per piccoli gruppi di persone, per riuscire a creare una connessione molto diretta e intimista con il pubblico. Tuttavia, abbiamo costruito un’offerta di attività gratuite molto diversificata, ad esempio tutte quelle che si terranno in Piazza Ganganelli, con spettacoli importanti come Jumpcore di Paweł Sakowicz o Siamo ovunque. I concerti allo Sferisterio sono gratuiti, come anche la performance ritualistica di 9 ore Mom, I* am no longer Black della mozambicana Marilú Mapengo Námoda e lo spettacolo di Igor Shugaleev dal titolo 375 0908 2334. The body you are calling is currenly not available, che ci parla della drammatica situazione della Bielorussia, in cui gli oppositori dell’attuale regime sono sottoposti a violente persecuzioni.

Passiamo al programma, che è come sempre molto vasto e ricco di anteprime. Non ti chiederò cosa ci consigli di vedere, ma qual è il lavoro più politico, quale quello più femminista, quale invece quello più emozionante.

In programma sono presenti tanti lavori femministi, politici ed emozionanti, anzi direi che quasi tutti lo sono. Dunque, per me è molto difficile identificarne uno che emerga rispetto ad altri per ciascuna categoria. Posso però provare a fare una valutazione rispetto alla maniera “diretta” di porsi rispetto a tale questioni. Secondo questa prospettiva, direi che il lavoro più direttamente politico è Siamo ovunque, una lettura partecipativa messa in scena in Piazza Ganganelli dai collettivi svizzero-italiani Dreams Come True, Hichmoul Pilon Production, collectif anthropie e Siamo ovunque, che darà spazio alle voci di tutti coloro che si battono contro ogni forma di oppressione sociale, componendo così un archivio dell’attivismo contemporaneo.
Un lavoro che prende posizioni femministe in maniera molto diretta è COMMUNE di Maria Magdalena Kozłowska al Teatro Galli di Rimini, ispirato alle proteste contro la penalizzazione dell’aborto, dall’attività delle Pussy Riot all’idrofemminismo; da un altro punto di vista, citerei anche lo spettacolo GO GO OTHELLO di Ntando Cele in cui la prospettiva femminista si mescola che una prospettiva postcoloniale e antirazzista.
Non riesco a dirti quello più emozionante, perché mi sento profondamente connesso a molti spettacoli che ospitiamo.

Qual è infine la canzone che rappresenta bene per te il mood di quest’anno?

Penso che questa edizione del festival abbia molto da fare con l’energia disturbante di Siksa, duo punk-performativo polacco, che abbiamo il piacere di ospitare allo Sferisterio il 9 luglio.