In un’intervista di tre anni fa Chiara Colli aveva interrogato a lungo Marco Monaci sulle ragioni che lo avevano spinto a fondare Volume, uno spazio dedicato alla cultura indipendente, alla ricerca musicale, ai dischi, ai libri e alle persone che costituiscono il tessuto di produzioni più interessanti nella città e nelle reti internazionali. Allora Volume si trovava nel cortile della Santeria di Via Paladini, nell’est di Milano, e da subito si era costruito una sua autonomia all’interno dello spazio, aveva attirato un circuito di appassionati, aveva creato delle reti in tutta la città e si era affollato di incontri, performance. Un anno fa si è spostato in piena Isola, a via Porro Lambertenghi, e lo abbiamo incontrato per domandargliene le ragioni e per capire le sue prime impressioni.
Come sei arrivato qui?
Durante gli anni in Santeria, dove ho letteralmente imparato a gestire e organizzare un’attività attraverso sperimentazioni fortunate, sono entrato in contatto con Diletta e Chiara di Spazio B**K, qui affianco, ed è nata subito una intesa fortissima. Abbiamo in comune moltissime cose, un tipo di ricerca fondata sul DIY, sulla produzione indipendente, anche se loro ovviamente in un campo legato più all’illustrazione, al libro e alla grafica e io alla musica. Mi invitarono alla prima Festamercato al Frida che organizzammo insieme per il loro 5° compleanno, nel 2017, quella fu la nostra prima collaborazione effettiva. Io curai la musica e alcuni incontri, riuscì benissimo.
Me lo ricordo, brulicava di persone che non si erano mai viste. E poi, come hai fatto a trovare un posto così vicino a loro?
Mi hanno chiamato l’inverno scorso, appunto, dicendomi che si liberava miracolosamente uno spazio, e ho deciso velocissimo di muovermi qua, per potere finalmente lavorare insieme, da vicino, ma anche per creare una “barriera”, un blocco di resistenza contro la gentrificazione del quartiere. Un presidio culturale.
In che senso un presidio?
Be’, se abiti nei paraggi lo sai bene anche tu, qui ogni vetrina su strada rischia di essere occupata da un bar, un ristorante, un venditore di cibo da asporto in ogni forma. L’Isola è diventata una mangiatoia, ci piace definirla così. Noi cerchiamo, con la presenza e con il nostro lavoro, di costruire reti culturali, di tenere viva l’energia esplosiva che ha abitato in queste strade per decenni, e che non vuole essere messa da parte, non vuole scomparire sommersa dagli hamburger e dalle pizze.
Energie controculturali, oltre che culturali.
Sì, questo è un mondo a parte, fatto di etichette indipendenti, case editrici di frontiera, circuiti molto produttivi e di livello altissimo. Non è assimilabile ai sistemi culturali dominanti ai grandi eventi, alla grande distribuzione, al marketing.
I mobili sono sempre quelli fatti da Canedicoda?
Si, molti riadattati al nuovo spazio, altri fatti ex novo. Le collaborazioni con gli amici sono sempre al centro del mio lavoro.
Come è cambiata la clientela, o meglio il giro?
La differenza grandissima è data dal fatto che ora affaccio su strada, quindi capitano persone di passaggio, incuriosite da un posto che non avevano mai visto. Persone che magari chiedono tutt’altro, dischi che non ho mai preso, ma molti invece che scoprono lo spazio e tornano. In Via Paladini il giro era inevitabilmente condizionato dalla frequentazione di Santeria, la maggior parte delle persone si trovavano lì per il bar, per bere o mangiare, molte famiglie il sabato e la domenica. VOLUME è comunque riuscito negli anni a crearsi un suo giro indipendente, ed era bello che chi veniva per comprare i dischi o i libri poi potesse fermarsi al bar a bere una birra, stessa cosa per chi veniva a sentire un concerto. E lo scambio c’era. Era un po’ più ostico il contrario ecco, a volte si creava una certa dissonanza tra la famiglia che fa l’aperitivo in cortile e il concerto noise in negozio. Quando suonò Venta Protesix, che per l’appunto fa harsh noise a volumi esorbitanti, fu particolarmente divertente. Da me arrivavano molti appassionati, o attratti dai concerti, ma insomma un pubblico che tendenzialmente già sapeva, raramente capitavano per caso.
Che cosa ti piace dell'Isola?
La densità di persone che fanno cose interessanti: solo qui a via Porro Lambertenghi, oltre a B**K, ci sono Libri finti clandestini e 5X LETTERPRESS, due realtà di fortissima sperimentazione in campo tipografico e grafico, che praticano la ricerca e l’autoproduzione con una dedizione impressionante e risultati straordinari. Per forza facciamo cose insieme, abbiamo uno scambio continuo: di contenuti, forme, di ospiti negli incontri, di pubblico agli instore, alle presentazioni. Il marciapiede è fertile, e poi c’è sempre qualcuno che va a prendere le birre al negozietto di fronte. A pochi passi c’è il Piano Terra, Spazio Gamma e Micamera, una presenza costante nel quartiere insieme allo spazio O’.
Ma tu hai ricordi lontani, l'hai sempre frequentato?
Ci venivo soprattutto negli anni 2000, quando c’era il cinema a via Garigliano, la Stecca e il Pergola, e il Binario Zero dove tra la fine dei ’90 e i primi 2000 passavano in tour i gruppi americani che amavo e dove ho visto live che mi hanno segnato indelebilmente (Botch, The Get Up Kids, Neurosis, Dillinger Escape Plan per citarne alcuni). Ci ho vissuto anche diversi anni e l’ho visto cambiare radicalmente.
Fate cose anche in altri luoghi del quartiere?
Con il Covid tutto è un po’ sospeso, ma ci piacerebbe proporre cose anche ad altri. Il Frida ha ospitato due edizioni della Festamercato, vediamo se nasceranno altre collaborazioni interessanti.
E fuori dal quartiere?
La cosa più bella che facciamo è Zuma, il festival che organizziamo al Cascinet con tutte le persone che fanno parte dell'”Alleanza galattica”, nato dall’unione di etichette discografiche, promoter, negozi di dischi, tutti accomunati da uno spirito fortemente DIY. Purtroppo quest’anno è saltato. È un esperimento sociale, di autogestione totale, che è riuscito a reggersi economicamente senza sponsor, senza finanziatori. Un altro spazio amico molto bello dove in questi ultimi due anni abbiamo organizzato diverse cose è Circolo IAM.