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Suicide

electroblues

di Andrea Cazzani

Il nome dei Suicide abbonda sulla bocca dei critici musicali quanto il riso sulla bocca degli sciocchi: non c'è recensione di un qualunque disco di elettronica diciamo "minimale" che non tiri in ballo i nomi dei due newyorkesi "seminali" Alan Vega e Martin Rev. Tenete ben presente che questo "American supreme" è solamente il terzo album ufficiale di una band formata nei primi anni 70 e che ha debuttato nel 1977 con un disco omonimo (è inutile dire che non si può vivere senza). Sono quindi tra i musicisti meno prolifici della storia, e c'è a mio parere un motivo. Il primo album era il punk filtrato dall'ottica distorta dei due, il secondo (sempre omonimo) interpreta la new wave, il terzo (questo) si dedica all'elettronica contemporanea "according to Suicide". Un disco per decennio in cui la tastiera di Martin Rev e la voce beffarda di Alan Vega scarnificano e sfregiano il genere più in voga al momento. Ascoltatela bene la voce di Alan Vega: quest'uomo ha inventato la figura del vocalist da discoteca, se solo i vocalist sapessero essere così funzionali alla musica su cui stanno cantando, e se solo non dicessero le loro stronzate immani in caduta libera verso il Nulla. La voce di Alan Vega trasforma tutto in blues: in American Supreme le strutture musicali, per quanto ridotte all'osso (e questo disco è il loro più corposo in quanto a varietà e ricchezza di suoni), si ispirano al funk, al pop elettronico tedesco (Tarwater ecc.), al breakbeat, all'hip hop, alla house, alla techno, ma basta che Vega apra bocca, basta che emetta uno dei suoi versi animaleschi, per comprendere come qualunque ritmo in 4/4 sia riconducibile alla matrice comune della musica afroamericana. I Suicide non possono più essere avanguardisti come nel 1977, quando la musica elettronica praticamente non esisteva, ma mantengono intatta tutta la loro genialità e a 25 anni di distanza sanno essere originali e ispirati in generi che non appartengono loro, ma dei quali hanno gettato i semi quando i più celebrati artisti dei vari generi elettronici probabilmente non erano nemmeno nati. Secondo me questo è il miglior disco del 2002.

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