Per spiegare il fenomeno hanno tirato in mezzo la nostalgia per i Libertines, il tiro dei White Stripes, la foga dei primi Green Day, quell'aria da giovani carini e disoccupati alla Kaiser Chiefs, gli Oasis a cui hanno soffiato il record di fastest selling Uk debut album. Tutto molto più semplice di così. Fino a tre (anche due) anni fa, quattro brufolosi cazzoni tardoadolescenti di Sheffield la mattina si alzano presto per andare al liceo, il pomeriggio schitarrano in cantina. E' un attimo e tutti gli inglesi scaricano le loro canzoni su internet, il passaparola on-line è massiccio, esce un singolo e il primo tour stipa i club, arrivano tre NME Awards e "Whatever People Say I Am, That's What I'm Not" vende uno sproposito. Gli allegri cazzoni non se la spiegano. Dicono sia come essere saliti su un autobus per l'altro capo della città, non hai idea di dove stai andando ma salti su lo stesso. La sanno già lunga. Che si sia ripreso, come dice il mio amico Mist, "a fare rock'n'roll senza fighettismi new-wavici o moine brit-poppiche, con uno che urla e chitarre che fanno rararann, e quando ce l'hai nello stereo bussa tua mamma e ti dice, abbassa 'sta roba, che si sente fin giù"? Aprono i Milburn, giovanissimi, di Sheffield, primo singolo e adorabili chitarre che fanno rararann. Questo sì che si chiama cavalcare l'onda.
Arctic Monkeys
13/5/2006, Rolling Stone, C.so XXII Marzo - Milano
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