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Moderat

22/2/2014 Alcatraz, Via Valtellina 25, Milano

di Raffaele Paria

C’è un preciso istante, unico e diverso per ogni spettatore, in cui il live di Moderat ti entra nella pelle. La mia prima volta: Dissonanze 2009, con le luci dei visual che coloravano il cemento e il travertino del Palazzo dei Congressi, e qualche mio scetticismo iniziale. Guarda che spocchia questi tre, mi dicevo, si atteggiano su quel palco dietro le tastiere, i laptop e i mixer neanche fossero i Depeche Mode degli esordi. Forse non faccio testo: io ero lì per Kenny Larkin, e a dirla tutta, l’eponimo album Moderat non lo avevo proprio capito. È hip hop? Dubstep? Electro? O pop? Più sono i generi con i quali si identifica un album, più alte sono le chance che il risultato non mi piaccia. Tornando all'Eur, quella notte, per qualche ragione, sono rimasto nella calca, abbandonando il piano di salire in terrazza a guardare la luna. I visual ipnotici (stasera curati da Pfadfinderei) e i bassi distorti da big room, il ciuffo di Apparat e i cappelli a rovescio dei Modeselektor. “A New Error” che deraglia sull’acid, “Rusty nail” che sale tra le costole, e Sascha, nel suo infinito romanticismo, che scende giù nelle corde vocali per tirarci fuori quella nota struggente al microfono. Eccolo l’istante. E il tuo?

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