Foto di Giovanni Daniotti

Genovese classe 1978, Ricciarda Belgiojoso vive a Milano da sempre, dove ha studiato pianoforte al Conservatorio e architettura al Politecnico, prima di dedicarsi a ricerche interdisciplinari tra suono, spazio e arti visive. Oggi è una studiosa e una pianista riconosciuta, e negli ultimi anni ha affiancato ai progetti personali la co-direzione, accanto a Titti Santini, di Piano City Milano, ambizioso progetto che porta la musica in ogni angolo della città meneghina.

La ricerca non smette mai!

Ricciarda, come ti presenteresti in poche parole?

Mi interesso soprattutto di musica contemporanea, e delle sue interferenze con le arti e l’architettura. Ultimamente come pianista partecipo a progetti sperimentali in cui le tastiere dialogano con i suoni elettronici. Infine, insieme a Titti Santini curo la Direzione Artistica del festival Piano City Milano.

Hai una formazione molto composita: come si riflette nelle tue attività del presente? Hai trovato una sintesi tra arti visive, musica e spazio?

Considero un privilegio l’aver potuto studiare in parallelo architettura e musica: trovo che abbiano molto in comune, basti pensare che il nostro senso dell’orientamento dipende in gran parte dall’udito, oppure a quanto l’ascolto sia condizionato dalla qualità degli spazi. Ho svolto diverse ricerche in ambito accademico sul rapporto tra spazio e suono, sul paesaggio sonoro, sull’arte pubblica. La ricerca è una forma mentis, non smette mai!

Sono d’accordo, è una forma di pensiero. E su cosa vertono in questo momento le tue ricerche?

Attualmente sto studiando alcuni intrecci tra la musica contemporanea e la letteratura francese.

Sei genovese, ma vivi a Milano da sempre. Che rapporto hai con questa città?

Conosco bene la città da tanto tempo ma con la squadra di Piano City Milano in questi ultimi anni ci siamo divertiti a esplorarne davvero ogni angolo più remoto. Il mio mezzo di spostamento preferito è assolutamente la bicicletta, ed è sempre eccitante pedalare per la città! Anche perché Milano è attiva, dinamica, direi anche piacevole e vivibile, in particolare in questi ultimi anni in cui pare sia stata ulteriormente ravvivata da un certo giro internazionale. Però ammetto che appena posso fuggo al mare…

Ci riveli uno dei tuoi posti preferiti per ascoltare musica?

Sicuramente la Philharmonie di Parigi. A Milano, invece, la balera dell’Ortica!

Il lavoro per l’Associazione Piano City Milano è per te un impegno quotidiano?

Non saprei dire, c’è anche tanto altro, però in effetti al festival lavoriamo costantemente tutto l’anno. I tre giorni ufficiali sono appena la punta dell’iceberg, mentre gran parte dei progetti sono frutto di lunghi dialoghi e approfondite collaborazioni con istituzioni, associazioni, partner e scuole. Per esempio, il concerto che abbiamo fatto qualche anno fa al Bosco di Rogoredo è stato un momento musicale durante il quale si invitava il pubblico a vivere il risultato di un lavoro di riqualificazione eccezionale effettuato effettuato in modo corale tra le associazioni attive sul territorio e chi comunque ci ha permesso di mantenere l’evento in sicurezza. Un secondo esempio è il caso di Toy Piano Orchestra, per la quale portiamo avanti un massiccio lavoro di preparazione durante tutto l’anno scolastico, a partire da brani musicali inediti scritti per noi da compositori affermati come Michael Nyman o Carlotta Ferrari.

A proposito del lavoro di concerto con diverse istituzioni e partner, leggevo che Volvo Studio Milano è uno dei main partner per Piano City Milano. Da quanti anni prosegue la vostra collaborazione?

Possiamo dire da quando è stato pensato e realizzato Volvo Studio. Si presentava fin da subito come un luogo nuovo, fuori dal comune, che si apriva alla città. Da allora abbiamo continuato a portarvi nomi importanti della scena musicale internazionale, da Davide Boosta Dileo a Dardust, Frida Bollani e anche Paolo Jannacci! Quest’anno è stata la volta, tra i tanti, di Danilo Rea e Stefano Lentini (il compositore delle musiche di Mare fuori). Volvo è assolutamente un partner prezioso, con cui pensiamo insieme progetti speciali.

Come è nato, e poi come si è sviluppato, questo dialogo con Volvo Studio?

Come ti dicevo i primi passi si datano già al 2018, quando appunto appariva a Milano la magnifica aurora boreale ricreata negli spazi di Volvo Studio. Proprio per rinsaldare questo legame con la Svezia, per il primo concerto abbiamo invitato un pianista dalla Lapponia che potesse reinterpretare al meglio in musica quella magia – tra l’altro arrivò in treno attraversando l’Europa per via di uno sciopero dei voli!

Il rapporto si è poi sviluppato negli anni con una proposta piuttosto variegata, che a concerti di musica classica ha affiancato l’elettronica e la musica contemporanea, poi ancora concerti a quattro mani, fino ad arrivare alla proposta di lezioni di piano, workshop e incontri in cui i musicisti in parte suonano e in parte si raccontano, raccontando al pubblico il loro rapporto personale con il pianoforte.

Mi pare sia uno spazio guidato dalla tua stessa intenzione di operare nel mondo della cultura senza seguire binari fissi o chiudere le pratiche in compartimenti stagni. Ma anche in linea con Piano City Milano, così aperto e trasparente sulla trafficatissima via Melchiorre Gioia.

Assolutamente, per questo ci ho suonato anche io da poco, in occasione di un’altra rassegna [non Piano City Milano ma Evolvo, il 9 marzo 2023 ndr]. Il pubblico ha ascoltato il mio pianoforte insieme ai marchingegni di Intelligenza Artificiale applicata alla musica di Alex Braga. Anche dal punto di visto dell’esecutore il panorama urbano circostante è stupefacente, sembra di essere in un acquario…

Come vedi la scena milanese, per quanto riguarda la ricerca musicale contemporanea?

Milano ha una programmazione musicale di altissimo livello, la stessa sera puoi trovare tre concerti straordinari, è sempre così dura scegliere! Riguardo alla scena contemporanea ci sono diverse iniziative particolarmente valide, da Sentieri Selvaggi alla Fabbrica del Vapore, Masada e vorrei menzionarne tanti altri, c’è davvero l’imbarazzo della scelta. Credo però che le grandi istituzioni come la Scala e le stagioni di musica in Conservatorio non abbiano ancora abbastanza assorbito questo nuovo fermento.

Hai un pianista preferito? E un artista? E un architetto?

Direi le sorelle Katia e Marielle Labèque, che due anni fa hanno suonato a Piano City Milano la prima italiana Les enfants terribles di Philip Glass. Come artista menzionerei Alexander Calder e per la categoria architetti Herzog e De Meuron.

Perdonami la deformazione professionale, ma come mai Calder?

Mah non c’è una ragione vera e propria. Forse la leggerezza!