Fa sempre piacere vedere come la tradizione locale culinaria di Roma riesca ad autorigenerarsi. C’è la concorrenza delle cucine di altre regioni e di altre paesi che aumenta, ma, nonostante questo, chi va fuori di casa per farsi una bella mangiata casereccia c’è e costituisce uno zoccolo durissimo. Non parliamo di avventori esterni e occasionali che, giustamente, vogliono assaggiare i piatti del posto, ma di chi la città la vive ogni giorno e magari quelle stesse ricette le propone nella propria cucina. Santo Palato è uno degli ultimi agenti catalizzatori di questa autogenesi e si pone come uno dei più forti. In cucina c’è Sarah Cicolin, cuoca under 30 passata per i fornelli di Metamorfosi e Sbanco, abruzzese di origini e quindi abituata ai sapori importanti e al legame con la terra. Questo si traduce in poche rivisitazioni – anzi, quasi nessuna – e in molti recuperi di ricette perdute: già a partire dagli antipasti con la frittata di rigaglie di pollo , l’uovo al tegamino con piselli e parmigiano – anche se è la trippa la scelta assolutamente consigliata (€ 8). Primi con i tre grandi classici – gricia, carbonara, amatriciana – cui si aggiungono pajata, cannelloni con ripieno di carne o delle lasagne del giorno che si trovano sulla lavagna dei piatti del giorno (ad esempio con gli asparagi). Secondi altrettanto intensi e orientati al quinto quarto: animelle al burro con agretti, cervello fritto, una guancia brasata spettacolare e un piatto “sparito” come la pizz’ e fuje (misticanza ripassata, con cannellini, sarde fritte, peperoni secchi e pizza di mais). La selezioni dei vini è affidata a delle firme di settore, mentre per quello della casa ci si affida all’azienda Menicocci (€ 10 al litro), diverse anche le offerte per le birre artigianali (c’è anche la mano di Marco Pucciotti dietro Santo Palato). Pochi posti, sala unica, arredo spartano e bicchieri da vino da osteria all’antica.
Contenuto pubblicato su ZeroRoma - 2017-05-16