Quando le città lottano per accaparrarsi un’Expo o un’Olimpiade, in genere giustificano gli enormi investimenti pubblici sull’evento con la legacy, l’eredità, cioè la realizzazione di una grande trasformazione urbana. L’evento dovrebbe concentrare investimenti pubblici su una città consentendole così di pianificare lo sviluppo o la rigenerazione di una zona depressa. Milano però la legacy non l’ha mai avuta, nulla era stato pensato per la piastra EXPO di Rho: doveva esserci un grande parco, e la nuova sede Rai, ma non se ne è fatto nulla. Non è una zona appetibile, perché è lontana, circondata da tangenziali e svincoli, dal cimitero Maggiore da un lato e da un carcere dall’altro, e a ovest dalla Fiera di Fuksas. La metropolitana arriva solo a un’estremità dell’area. Dopo la fine dell’evento è stato subito lanciato Human Technopole, un centro di ricerca specializzato sulla medicina predittiva, la sicurezza alimentare e l’ambiente, poi si è deciso di costruire lì la sede del nuovo ospedale Galeazzi, e infine è nata l’idea di spostare 18000 studenti delle facoltà scientifiche della Statale localizzate a Città Studi, un’area bella, centrale e servita, in questo deserto, per popolarlo. Il masterplan complessivo dell’area di 1200000mq è stato assegnato via concorso all’immobiliare australiana Lendlease (la stessa di Santa Giulia) e allo studio CRA, Carlo Ratti Associati, che stanno progettando un Parco della scienza, del Sapere e dell’Innovazione, una sorta di incarnazione della Smart City.
Le lotte degli studenti della Statale e dei comitati (Salviamo Città Studi in primis) non hanno per ora fermato il processo, ma ne hanno evidenziato i problemi. La Statale dispone di 120 milioni con cui potrebbe ristrutturare e adeguare gli edifici di sua proprietà – immersi in uno dei tessuti urbani milanesi di maggior pregio per la qualità architettonica, per la connessione, per la presenza di verde – alle nuove esigenze della ricerca. Se trasloca invece dovrà pagare 30 anni di canone (20milioni di Euro circa all’anno) a Lendlease, per trasferirsi in uno spazio isolato e sostanzialmente antiurbano, senza alcuna garanzia di avere un campus fantascientifico.
Per fare un confronto tra le due aree è sufficiente guardare la ricchezza di edifici di pregio, bar, locali, spazi culturali, o l’eleganza dell’impianto urbano sulla mappa di Città Studi, da Casoretto a Piazzale Gorini, tra i villini delle università, nelle piazze verso il Bar Basso, (un tessuto urbano che solo la compiacenza dei media più servili, al fine di magnificare il trasferimento, ha potuto definire zona di degrado) e l’assenza di qualità urbana in quei pezzettoni ai margini di Rho, privi dei servizi più essenziali e divisi da muri e strade invalicabili.