Benvenuti a Sempione: che oltre al suo “verde e marrone” ha l’indubbia postura da luogo fondamentale e fondativo per la città, e l’indubbio riconoscimento cittadino di Quartiere-Parco. La storia del parco per come lo conosciamo noi risale a circa centocinquant’anni fa, dal suo primo concepimento a fine Ottocento, per il gusto estetico dell’Alemagna. La storia precedente la riassumiamo così: piazza d’armi sforzesca e napoleonica e prima ancora boschetto privato degli Sforza, con tanto di collezione viva di animali esotici. Pochi sanno che il nome “Sempione” lo di deve all’omonimo traforo italo-elvetico del 1906, celebratissimo durante l’Expo dello stesso anno, che molto si concentrò sul parco stesso.
Per dire il quartiere, si potrebbe cominciare da tutta l’architettura liberty milanese del primo Novecento, frizzante e pingue quanto basta per rendere conto del vanto della borghesia industriale rampante, ma anche dall’architettura dal tono monumentale e severo, pietroso e marmoreo, nonché scrigno dello “spirito del Novecento”, che da lì a poco sarebbe diventato il littorio. Avrete già capito qual è l’edificio simbolo, tra i più celebri della città, d’Italia e ovviamente di Sempione: Triennale Milano, conosciuta all’epoca come “Palazzo dell’Arte”, a opera di Giovanni Muzio – esponente di spicco del movimento “Novecento” assieme, tra gli altri, a Gio Ponti ed Emilio Lancia. Triennale atterra qui nel 1933, e da quell’anno, sotto la direzione dello stesso Gio Ponti e di Mario Sironi ha inizio la storia che vede l’istituzione milanese alle prese con il design, l’arte, l’architettura, il teatro, insomma: con la città tutta. Tutta qui e tutta altrove, perché Triennale è in fondo il prisma più riflettente e riflessivo della città, che nel suo centenario (dalla fondazione a Monza nel 1923) si trova a essere uno dei luoghi, se non il luogo, in cui per eccellenza si fa e si racconta la cultura contemporanea della città e dei suoi altrove – grazie oggi a Marco Sammicheli, Damiano Gullì, Nina Bassoli, Lorenza Bravetta e Umberto Angelini (rispettivamente: design, arte, architettura, fotografia e teatro).
Se già la storia di Triennale potrebbe rendere conto delle peripezie storiche del quartiere, sveliamo ora un’altra grande protagonista: la Rai. Anche qui come altrove la storia trabocca. La sede storica, oggi in via d’abbandono, fu progettatada Gio Ponti – ancora –, ed è luogo e sede del celebre manicotto ligneo e continuo che segue le rampe delle scale, nonché il luogo in cui avvenne la prima trasmissione radio, fatta di epopee, attori e rumoristi, e una stanza preziosissima: l’Auditorio A, dove le scale con alzate e pedate metà legno e metà marmo furono pensate per dar rumore ai passi, e dove una scatola di finestre, tapparelle e porte, dava l’idea sonora del vento e della domesticità, ma dove soprattutto ebbe sede lo Studio di Fonologia Musicale, fondato nel 1955 da Luciano Berio e Bruno Maderna. Qui passarono le leggende della musica sperimentale fino agli anni Ottanta, da Aldo Nove a John Cage, i cui echi ancora fanno tremare gli animi e i sogni di chi la musica la studia e di chi sicuramente la emette nell’etere del web, come Radio Raheem in Triennale.
Simbolo indubbio nonché vanto e stemma del milanese di nascita e di vocazione, sede del biscione e della torre del pomposo Filarete, nonché e semplicemente anticamera del Parco.
C’è poi, ovviamente, Castello Sforzesco: simbolo indubbio nonché vanto e stemma del milanese di nascita e di vocazione, sede del biscione e della torre del pomposo Filarete – autonominatosi, come ben sapranno tutti, “colui che ama la virtù” – nonché anticamera del Parco. Anche qui la storia abbonda e trabocca, e d’altronde è pieno di musei. Ci sono i BBPR che nel 1956, nel Museo dell’Arte Antica, progettarono uno degli allestimenti e dei display più celebri per uno dei capolavori più importanti e toccanti della storia maestra: la Pietà Rondanini del Michelangelo. C’è poi il Museo degli Strumenti Musicali, dove assieme agli strumenti ad arco, a curiose “arcichitarre” e ottoni e legni a fiato, sono conservate proprio le macchine dello Studio di Fonologia Musicale della Rai, entrate a buon vedere nell’alveo della storia.
Nei dintorni di tutto, ovvero del parco, i chioschi fioriscono e svolgono il ruolo della carta moschicida per turisti e residenti, offrendo cascate di panini, birrette sotto la luce dei merletti del Castello, ed eventualmente uno schermo nei pressi dell’Arco della Pace pronto a esplodere durante ogni partita di calcio e a divenire massa o legione durante i derby. Poco più in là, appena oltre la ferrovia, nella zona sfacciatamente liberty, le gallerie d’arte e gli archivi d’artista abbondano in un’area denominata pochi anni fa “Zona Monti”. Qui i chioschi lasciano il posto allo stupore degli interni borghesi e delle case d’epoca, lasciano il posto all’Archivio Agnetti, alla Fondazione Castiglioni o alle riviste di fotografia contemporanea. È forse il potere suggestivo di quella strana prossimità tra parco e ferrovia, condizione poetica imprescindibile per chi ci vive affacciato? Non lo sappiamo, ma così ci è stato detto.
Arriviamo, infine e inesorabilmente, al cuore del quartiere: il Parco. Avrete capito che è attorno a questo che s’è sviluppato tutto (meno che il Castello). Che questo largo spiazzo verdeggiante e satollo è da considerarsi non soltanto complice, ma fautore di tutto quel che Sempione è oggi: luogo deputato non soltanto alla celebrazione del traforo – avrete capito –, ma ovviamente all’ozio e soprattutto al Novecento nelle vesti di un vero e proprio museo a cielo aperto. Nel mezzo delle radure e degli alberi s’incontrano infatti le architetture storiche e i monumenti che segnano la storia più che centenaria della zona, attraverso l’Expo e le trentatré Triennali che vi si sono svolte – come l’imprescindibile Biblioteca, il Bar Bianco (così detto perché vendeva prodotti di latteria ai bambini), il Teatro Continuo di Burri, la Seduta Musicale di Arman.
A Sempione c’è tutto il calderone della storia e straripa, mescolato da farnie e ghirlandaie, dall’architettura severa razionalista e dai maestri di djembé che parlano di Castiglioni citando Agnetti.
Tutto questo s’incontra qui durante un picnic, la corsa, un safari, accompagnati dalla musica più caratteristica del parco: le percussioni. Perché qui si svolge poi un’altra storia, più recente, che ha coinvolto la città tutta: quella delle percussioni e dei maestri di djembé che dal Ghana, dal Senegal, da Burkina Faso arrivarono negli anni Novanta con quel temperamento da maestri, da cantastorie, trovandosi persino al Plastic e fondando scuole e leggende che ancora echeggiano nei ritrovi dei percussionisti al Parco, puntualmente nel weekend alla Seduta di Arman, dove si ritrovano tutte e tutti: da quelli di APE nel Parco, festa par exellance di Sempione ai JFS Wet Orchestra, direttamente da Palazzo INA e dall’ex Galleria Galera San Soda. Tutt’intorno i fruscii di più di settanta specie arboricole, tante che occorre imparare a riconoscerli per foglie, e ancor di più i soundscape delle specie d’uccelli, e poi i mammiferini che scorrazzano per i prati e le frasche provocando l’ira fastidiosa dei canidi e dei loro padroni, sempre intenti a divagare per le piccole praterie nei pressi dei rivoli d’acqua.
Abbiamo finito, e allora: Benvenuti a Sempione, dove tutto sommato c’è davvero tutto; il verde e il marrone e il marmo, le farnie e le ghirlandaie, i maestri di djembé e le chitarre, l’architettura razionalista e la cultura contemporanea, il derby storico tra gli Sforza e i Visconti e tra l’Inter e il Milan. A Sempione c’è insomma la Storia. Ne abbonda, a dirla tutta, al punto che straripa da ogni cosa venga presa in considerazione.