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Bobby McFerrin

22/9/2002, Teatro Manzoni, via Manzoni 42, Milano

di Arthur Cravan

Se il successo di una voce dipendesse solo da potenza del suono ed ampiezza di registro, allora staremmo tutti ad ascoltare la Callas oppure i grandi crooner del passato, come Frank Sinatra o Tony Bennett (ma solo per le loro registrazioni fino alla metà degli anni Sessanta). Per fortuna c'è stato Louis Armstrong, che inventò lo scat con un lampo di genio (quando il foglio con il testo di Heebie Jeebies cadde a terra, egli dovette simulare il ritornello rabberciando alcune sillabe un po' a caso) ed aprì la strada a nuove conquiste vocali: da Billie Holiday, nella quale la bellezza della voce è legata alla sofferenza che vi traspare, a Jon Hendricks, il cui vocalese, spesso a cappella, insegnò ad utilizzare la voce come uno strumento musicale (così nacquero i Manhattan Transfer). Il migliore erede della tradizione vocale afro-americana, Bobby McFerrin, ha spinto il canto verso territori inesplorati, facendo della voce un mezzo per riprodurre qualunque strumento. Le sue prodigiose incursioni in territorio sinfonico (si ricordino i suoi duetti con Yo-Yo Ma "al violoncello" ma anche il "Preludio in do maggiore" di Bach) hanno dell'incredibile e ne fanno un musicista senza eguali nel panorama contemporaneo.

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